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ROMA 2019

Recensione: 438 Days

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- Il film di Jesper Ganslandt è la cronaca avvincente di 438 giorni di incubo per due uomini rimasti stritolati nel meccanismo dei grandi interessi minerari e petroliferi dei Paesi occidentali in Africa

Recensione: 438 Days
Matias Varela e Gustaf Skarsgård in 438 Days

Somalia, giugno 2011. I reporter svedesi Martin Schibbye e Johan Persson (Gustaf Skarsgård, noto per la serie tv Vikings, e Matias Varela, Narcos) sono in attesa di incontrare l’ONLF - Ogaden National Liberation Front, un gruppo ribelle separatista che lotta per il diritto all'autodeterminazione per i somali nella regione somala dell'Etiopia. Persson gioca a pallone con i locali. La porta è delimitata da due kalashnikov. Quando gli mettono in mano per scherzo un mitragliatore per fare una foto con i combattenti, un somalo esclama ridendo “Black Hawke Down!” Il regista svedese Jesper Ganslandt, autore di 438 Days [+leggi anche:
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scheda film
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in Selezione Ufficiale alla Festa del Cinema di Roma, ci precipita subito in quel clima di guerra in cui l’immaginario cinematografico si mescola con una realtà nella quale la tua vita non vale nulla (nessuno ricorderebbe il Vietnam senza Apocalypse Now). Sceneggiato da Peter Birro, dal libro omonimo dei due giornalisti protagonisti che hanno ricostruito fatti realmente accaduti, il film di Ganslandt è la cronaca minuziosa di 438 giorni di incubo per due uomini rimasti stritolati nel meccanismo dei grandi interessi minerari e petroliferi dei Paesi occidentali in Africa. Ma 438 Days è anche il diario di come nasce una grande amicizia ed è soprattutto un film sulla libertà di parola e sul ruolo della stampa indipendente nel raccontare le sopraffazione del potere in ogni angolo del mondo.

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Nel caso in questione, abbiamo la compagnia svedese Lundin Oil, che opera nel settore minerario e petrolifero in Russia, Scandinavia, Sud America e nelle regioni africane più devastate dalla guerra, e del cui cda ha fatto parte l'ex premier svedese Carl Bildt (ministro degli esteri all’epoca dei fatti raccontati nel film). Martin Schibbye e Johan Persson mettono in gioco le loro stesse vite attraversando illegalmente il confine dalla Somalia in Etiopia. Dopo mesi di ricerche sono finalmente sulla buona strada per testimoniare in che modo la caccia al petrolio ha influenzato la popolazione dell'Ogaden, regione isolata e messa in ginocchio dai conflitti. Pochi giorni mordono la sabbia del deserto, feriti e catturati dall'esercito etiope. Sono terrorizzati. “Ci uccideranno” dice Persson. Non sanno ancora che il premier etiope Meles Zenawi vuole una loro piena confessione: propaganda, politica globale e illegalità si mischiano spesso nelle decisioni dei leader. E’ l’inizio di un’altra storia, in cui loro sono involontari protagonisti. Un processo a dir poco kafkiano li condanna a undici anni di prigione per terrorismo internazionale. Si spalancano le porte dell’inferno, la famigerata prigione di Kality ad Addis Abeba, in cui i due reporter incontrano giornalisti, scrittori e politici perseguitati per non essersi inchinati ad un potere dittatoriale. Martin e Johan dovranno sopravvivere a malattie mortali e una feroce repressione fatta anche di percosse quotidiane. Per tornare infine a casa, in un Paese democratico che cura i propri interessi economici e che non ha fatto molto per la loro liberazione. Basandosi su documenti del processo, materiale video e naturalmente i ricordi dei reporter, Jesper Ganslandt, con l’aiuto della fotografia di Sophia Olsson e del montaggio di Hanna Lejonqvist, mette assieme i tasselli con piglio documentaristico, concentrandosi sull’aspetto umano e perdendo di vista l’aspetto geopolitico globale. Ma il film resta una vivida testimonianza per chi vuol capire i motivi per cui tanta gente fugge dall’Africa per raggiungere le nostre coste.

Completano il cast Faysal Ahmed, Nat Ramabulana, Fredrik Evers, Josefin Neldén. La produzione è di Miso Film Sweden in coproduzione con Sveriges Television e Film i Väst. La distribuzione internazionale è affidata a SF Studios.

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