BLACK NIGHTS 2019 Concorso Opere prime
Recensione: Finky
di Marta Bałaga
- Il regista esordiente irlandese Dathai Keane presenta la fiaba più cattiva dai tempi di Biancabella e il serpente di Giovanni Francesco Straparola. O quasi
È un tipo ben strano, quel Finky [+leggi anche:
trailer
intervista: Dathai Keane
scheda film]. Presentata al Concorso Opere prime del Tallinn Black Nights, la storia raccontata da Dathai Keane (che, come abbiamo scoperto a Cineuropa, è stata girata in due versioni di lingua irlandese) vede come protagonista un musicista/burattinaio (Dara Devaney) che, dopo aver cercato di affrontare il fatto che la sua vita non stia portando a niente, si ritrova a vederla spiraleggiare sempre più verso il baratro. Tutto accade talmente in fretta che non ci vuole molto prima di ritrovarsi a ripetere la frase “Non siamo più in Kansas” con convinzione, aggiungendo “e adesso ci trasferiamo in Scozia invece”. Il povero Toto non avrebbe mai potuto prevedere una cosa del genere.
Ed è proprio in Scozia che Finky si rifugia, dopo aver deciso con il suo amico di non farsi vedere in giro per un po'. Scelta comprensibile, considerando che le persone a cui ha rubato i soldi dopo uno spettacolo fallimentare non l'hanno presa esattamente bene. Tuttavia, proprio come in una saga horror degli anni Novanta, il karma riesce a scovarlo nonostante l'improvviso cambio di residenza, e lo ripaga con un brutto incidente d'auto, che lo lascia in sedia a rotelle e con un occhio bendato, oltre che rancoroso e arrabbiato come non mai. Sembra proprio il tipo che fa al caso della compagnia circense che lo ingaggia, ma gli scarsi applausi e l'incoraggiamento di una timida e gentile ragazza non basteranno a rimetterlo in carreggiata.
Purtroppo questa storia, per quanto strana e fondamentalmente oscura possa essere, non riesce a convincere appieno. Può darsi che la causa principale sia un budget risicato, che impedisce al film di diventare quello che vorremmo, ovvero qualcosa di più grande, bizzarro e Terry Gilliam-esco (il Gilliam degli anni d'oro, non quello impantanato nella produzione de L'uomo che uccise Don Chisciotte). Ci sono comunque alcuni volti insoliti, che invitano Finky a entrare nel loro piccolo mondo, ma solo per poco. A differenza del buon Terry, però, che riusciva sempre a trovare dei paria che, nonostante i difetti e gli outfit rivedibili, risultavano comunque personaggi gradevoli, qui questo non succede.
Keane con Finky si prende un bel rischio, forse mettendo a repentaglio la futura esposizione mediatica del film, decidendo di non seguire la filosofia del “i personaggi devono prima di tutto piacere al pubblico”. Al regista sicuramente piacciono, ma non è detto che piacciano allo spettatore, considerando che il visibile peggioramento di Finky, sinceramente piuttosto terrificante, non è solo fisico. Inutile dire che quando, nel momento di maggior bisogno, una donna cerca di aiutarlo, lui prova soltanto a strapparle la camicetta di dosso. È una scena sgradevole da guardare, e non è l'unica, che rende sempre più difficile fare il tifo per il protagonista (sempre che l'abbiate mai fatto), anche se il suo bizzarro comportamento migliora mano a mano che il film prosegue. D'altra parte, se i fratelli Grimm ci hanno insegnato qualcosa è che le vere favole non parlavano di belle persone che si scambiavano cortesie, ma di difficoltà e sacrifici. E che non erano certamente per bambini.
Frinky è prodotto da Pierce Boyce, Bríd Seoighe e Eileen Seoighe per la società di produzione irlandese Abú Media.
(Tradotto dall'inglese da Enrico Brazzi)
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