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IFFR 2020 Concorso Big Screen

Recensione: Eden

di 

- L'ungherese Ágnes Kocsis torna con un film fuori dal comune, molto ambizioso e ben fatto sul difficile tema della solitudine nel mondo moderno

Recensione: Eden
Lana Baric in Eden

L'arte e il mercato non sempre vanno d’accordo, ancor meno in un’epoca in cui la velocità e i colpi ad effetto narrativi, sonori o visivi sono gli espedienti principali per inchiodare gli spettatori più volatili allo schermo. Con Eden [+leggi anche:
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, presentato in anteprima internazionale nel programma Voices e in concorso nella sezione Big Screen del 48° Festival di Rotterdam, l'ungherese Ágnes Kocsis si iscrive chiaramente tra gli avversari al rullo compressore dell’"entertainment", perfettamente in linea con i suoi due film precedenti presentati a Cannes (Fresh Air [+leggi anche:
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alla Semaine de la Critique nel 2006 e Pál Adrienn [+leggi anche:
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intervista: Agnes Kocsis, regista di P…
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al Certain Regard nel 2010), e buon per lei, anche se questa regista esigente è altrettanto esigente con il suo pubblico.

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Kocsis non solo affronta un tema difficile (una donna iperallergica alle sostanze chimiche, all'inquinamento atmosferico, alle onde radio e ai campi elettromagnetici vive completamente reclusa, al contempo cavia medica e oggetto di valutazione di uno psicologo), ma si prende anche tutto il tempo per svilupparlo con il suo stile lento (i legami che si intrecciano e si sciolgono attraverso la psicoterapia non sarebbero molto credibili a un ritmo accelerato). E alla fine, è un film scientifico-ecologico-romantico molto strano quello che piano piano si delinea sotto la trama della solitudine onnipresente e della comunicazione interrotta.

"Il mondo intero sembra così lontano da far girare la testa. Fa male dappertutto, sempre". Nel suo appartamento ascetico e in contatto con il mondo esterno solo attraverso il devoto e tenero fratello Gyuri (il rumeno Lóránt Bocskor-Salló), Éva (la croata Lana Baric) incontra per la prima volta András (il belga Daan Stuyven), lo psicologo responsabile della stesura di un rapporto su (e contro di lei) in vista di un processo. Profondamente malata da sette anni, Eva esce solo (protetta da una tuta da cosmonauta) per sottoporsi a violenti test clinici ("come un porcellino d’India. Forse mi metteranno in vetrina").

In mancanza di contatto fisico e interazione umana, la donna soffre di depressione, ansia acuta e attacchi di panico che forse sono la causa di queste crisi allergiche potenzialmente letali. Durante le sedute e nel corso di un soggiorno in un centro di ricerca in pieno deserto (apparentemente privo di allergeni), András cerca di farsi un'opinione. Conduce anche lui un’esistenza solitaria da divorziato (padre di una bambina con cui cerca goffamente di riallacciare), a poco a poco si affeziona a Eva, che ritrova a sua volta un po’ di gusto per la vita...

Con un'eccezionale padronanza formale (l'eleganza della messa in scena, la perfezione della fotografia, le scenografie, i suoni), punteggiato da alcune sequenze sorprendenti (il deserto, i giri in città in abito da cosmonauta) e ricco di un’infinità di piccoli dettagli discreti, Eden è tuttavia un'opera piuttosto arida poiché la sceneggiatura (scritta da Ágnes Kocsis con Ivo Briedis, Gábor Németh e Andrea Roberti) procede deliberatamente a passo di lumaca. Un andamento che spingerà qualcuno sull'orlo della catalessi, ma che merita tutto il rispetto degli appassionati dell’arte vera.

Prodotto da Mythberg Films e coprodotto dai rumeni di Libra Film, i belgi di Creative Hours e gli olandesi di Isabella Films, Eden è venduto all’estero da HNFF World Sales.

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(Tradotto dal francese)

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