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BERLINALE 2020 Panorama

Recensione: Wildland

di 

- BERLINALE 2020: Nel suo primo film, Jeanette Nordahl porta la tensione a mille e Sidse Babett Knudsen ruba la scena a tutti

Recensione: Wildland
Sidse Babett Knudsen, Sandra Guldberg Kampp ed Elliott Crosset Hove in Wildland

Il primo lungometraggio di Jeanette Nordahl, presentato in anteprima mondiale nella sezione Panorama della 70ma edizione della Berlinale, è una proposta davvero interessante. Apparentemente compatto, con una trama che potrebbe essere riassunta in un paio di righe, in Wildland [+leggi anche:
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non è questione di ciò che vediamo, ma di ciò che sentiamo: una preoccupazione crescente che fa sì che ogni parola e ogni gesto sembrino sospetti. Qualcosa non va, questo è chiaro, ma cercare di spiegarlo non è un compito facile, come scopre la giovane protagonista, Ida (Sandra Guldberg Kampp), quando parla con un operatore dei servizi sociali. Questa è l'unica persona che può salvarla, non da un pericolo esterno, ma da alcuni membri della sua stessa famiglia con i quali la giovane donna si è ritrovata a vivere dopo che sua madre ha subito un tragico incidente.

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Sebbene all'inizio sembrino piacevoli e onesti, questi membri della famiglia iniziano presto a mostrare la loro vera natura, per non parlare della loro partecipazione ad alcune attività un po' losche, dirette dalla zia Bodil – un'impressionante Sidse Babett Knudsen, che sembra incanalare la crudeltà di Kristin Scott Thomas in Solo Dio perdona [+leggi anche:
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, ma senza i suoi capelli biondo platino. Guidata dalla propria concezione di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, Bodil è il tipo di matriarca che vive secondo le proprie regole, mentre i cugini di Ida, che passano la giornata giocando ai videogiochi e svolgendo queste attività criminali, non osano mettere in discussione il suo giudizio. Sono così abituati a seguire i suoi ordini che l'hanno assunto come uno stile di vita.

Nonostante i tratti macbethiani del film, e a differenza di altri cineasti, Nordahl non trova nulla di romantico nella vita criminale. Forse perché questi personaggi sono solo piccoli criminali, troppo irrequieti per starsene in una stanza buia tutto il giorno, accarezzando un gatto come Vito Corleone. Il film mostra anche un certo "ritardo dello sviluppo" dei giovani, che vivono così dominati da Bodil che sembrano aver rinunciato completamente all'idea di crescere. Questo è qualcosa di cui Ida, nonostante la sua giovane età, sembra essere perfettamente consapevole, specialmente dopo che l'hanno portata a bere e le hanno fatto proposte indecenti. Nel frattempo, la fidanzata negletta di uno dei fratelli (Carla Philip Røder) sembra totalmente ignara della dinamica contorta della famiglia.

Sebbene Guldberg Kampp sia perfettamente adatta al ruolo, sembrando anche più giovane della 17enne Ida con le sue magliette oversize, l’attrice si limita ad osservare la sua nuova vita con un'espressione immutabile. Una protagonista con più carisma, o almeno più emotivamente espressiva, avrebbe potuto rendere il film più attraente. Ma nel suo stato di costante apatia, la giovane donna non può competere con Knudsen. A dire il vero, nessuno può farlo. "Per alcune persone, le cose finiscono male prima di iniziare": con dichiarazioni come questa, Wildland si avvicina alla soap opera televisiva a volte. Ma nonostante le sue imperfezioni, il film è pervaso da un'atmosfera densa e oscura che neanche i ridicoli tatuaggi in stile "Carpe diem" possono scalfire. La domanda non è se qualcuno finirà per scoppiare, ma quando.

Wildland è prodotto da Eva Jakobsen, Katrin Pors e Mikkel Jersin per la danese Snowglobe ApS; la distribuzione domestica è affidata a Scanbox Entertainment Denmark e le vendite internazionali a BAC Films International.

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(Tradotto dall'inglese)

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