SAN SEBASTIAN 2020 Zabaltegi-Tabakalera
Recensione: Un efecto óptico
- Juan Cavestany porta lo spettatore ai limiti della realtà con un film di genere mutevole che ignora le convenzioni e, ancor più, le guide turistiche
Nelle varie sezioni del 68° Festival internazionale del cinema di San Sebastián ci sono alcune sorprese in grado di cogliere alla sprovvista il pubblico. Per esempio, chi decide di andare a vedere un film selezionato in Zabaltegi-Tabakalera con la famosa comica Carmen Machi e l’altrettanto popolare attore Pepón Nieto, ma senza sapere chi dirige lo spettacolo; che in questo caso non è altri che l'unico e inimitabile Juan Cavestany, regista e drammaturgo che non rispetta le regole dell'industria cinematografica quando scrive e dirige lungometraggi. Basti ricordare la perplessità provocata da titoli suoi come Gente en sitios [+leggi anche:
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scheda film] o Dispongo de barcos [+leggi anche:
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scheda film]. Il suo nuovo lavoro si intitola Un efecto óptico [+leggi anche:
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intervista: Juan Cavestany
scheda film] ed è ugualmente sconcertante, ma anche sorprendente e divertente.
Questo nuovo film potrebbe essere considerato il corrispettivo di Burgos dei film di Charlie Kaufman e Spike Jonze, perché, come fanno i nordamericani, non rispetta le narrazioni generalizzate e osa rompere gli schemi, rischiare e spiazzare. Qui la premessa sembra semplice: marito e moglie – la cui figlia è andata a studiare in un'altra città – decidono di uscire dalla routine partendo dalla loro città di provinciare e recandosi a New York. Ma quando Alfredo e Teresa arrivano nella capitale del mondo, iniziano a rilevare strani segnali che li fanno dubitare se siano davvero lì o da qualche altra parte...
Con una musica onnipresente – come dentro un ascensore impazzito – che passa senza sforzo da note terrificanti al genere luna park, Un efecto óptico si ispira più che liberamente a quella serie televisiva Ai confini della realtà che Cavestany divorava da bambino, e anche ai film di David Lynch che ha assaporato da adulto. Non tutto in Un efecto óptico deve avere un senso, e neanche nella realtà (basta farsi una passeggiata per strada per capire).
Tra le pieghe di quell'umorismo tra il surreale e l’assurdo, il cineasta fa scivolare questioni più serie e critica l'uniformità estetica delle città, rende omaggio alla New York che conosceva quando ci ha vissuto per anni, coglie la sindrome del nido vuoto, strizza l'occhio al cinema con il titolo del film, e ci mette davanti uno specchio crudele ricordandoci che, ogni volta che viaggiamo, diventiamo protagonisti di una sorta di film che quasi mai obbedisce alle coordinate della sceneggiatura che avevamo precedentemente disegnato (e questo succede anche nella vita).
Un efecto óptico è un film indipendente di Cuidado con el perro Producciones Audiovisuales, S.L.
(Tradotto dallo spagnolo)