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FILM / RECENSIONI Italia / Francia

Recensione: L’agnello

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- Miglior film ad Annecy Cinéma Italien, l’opera prima di Mario Piredda è un ritratto potente della Sardegna, con una giovane e tenace protagonista che lotta per salvare la vita di suo padre

Recensione: L’agnello
Nora Stassi in L’agnello

In Sardegna hanno sede alcune delle più importanti basi militari della NATO nel Mediterraneo, dove si sperimentano nuove armi. Intorno a questi territori, da anni, si registra nella popolazione civile un numero altissimo di casi di tumore, riconducibili all’uso di polveri radioattive durante le esercitazioni. È a margine di una di queste vaste aree recintate con il filo spinato, punteggiate dai cartelli con su scritto “limite invalicabile”, che il regista 40enne Mario Piredda (David di Donatello 2017 per il corto A casa mia) ha ambientato il suo lungometraggio d’esordio, L’agnello, trionfatore al recente festival Annecy Cinéma Italien, dove si è aggiudicato in un colpo solo il premio per il miglior film, il premio del pubblico e il premio della giuria giovane.

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L’agnello però non è un film di denuncia, i soldati e i loro mezzi corazzati rimangono sullo sfondo. È innanzitutto la storia di un grande amore tra una figlia e suo padre, ed è allo stesso tempo il ritratto di una terra ruvida, arcaica, e della sua gente. Quando la 17enne protagonista, Anita (Nora Stassi) afferma che “ci stanno ammazzando uno ad uno”, non vengono date altre spiegazioni. Il film si concentra piuttosto sulla malattia di suo padre Jacopo (Luciano Curreli), e sulla lotta della ragazza, già orfana di madre, per salvargli la vita. Tra una seduta di chemioterapia e l’altra, si attende un donatore di midollo, ma le liste sono lunghe e potrebbe non esserci più tempo. Né lei né suo nonno pastore (Piero Marcialis) sono compatibili; potrebbe esserlo suo zio (Michele Atzori), ex tossicodipendente, con cui però Jacopo ha rotto i ponti da anni, e che, dal canto suo, di suo fratello malato non ne vuole proprio sapere. Anita farà di tutto per convincerlo.

Capelli rosso fuoco, lunghi e arruffati, tatuaggi e piercing in faccia, indomita e ironica, Anita (la cui giovane interprete buca letteralmente lo schermo) è la vera anima di questo film, che nonostante la tematica grave, non manca di salutari momenti di leggerezza. In particolare, è il rapporto di amicizia e complicità tra Anita e suo padre che rende ogni loro scena insieme sorprendente e diversa, il modo inconsueto che hanno di relazionarsi, di viaggiare insieme con la fantasia. I dialoghi sono sferzanti, esprimono caratteri selvaggi, aspri e schietti. E più emerge forte la peculiarità di questo rapporto padre-figlia, il loro umorismo e il loro modo di sdrammatizzare (“se muori mi offendo, non ti parlo più”), più ci sentiamo partecipi della lotta disperata di Anita contro il tempo e contro le faide familiari, per salvare questo suo genitore con cui condivide anche la passione per la batteria.

E poi c’è l’agnello: è un vero e proprio personaggio e, di fatto, è il primo che compare sullo schermo all’inizio del film, mentre nasce. Dopo averlo partorito sua madre muore, per questo – dice il nonno di Anita – anche lui è destinato a morire presto. Anita lo prende e se lo porta a casa, lo nutre e lo alleva. È un po’ il suo doppio (“anche io sono rimasta senza mamma, ma non ho mai smesso di mangiare”). Come lei, resiste, cresce e vive.

L’agnello è prodotto da Articolture (Italia) e Mat Productions (Francia) con Rai Cinema. Dopo il debutto alla 14ma Festa del cinema di Roma, in Alice nella Città, e dopo aver ricevuto lo scorso luglio il Premio Suso Cecchi D'Amico per la sceneggiatura, il film sta ora proseguendo con successo il suo tour dei festival: proiettato di recente al FebioFest di Praga e ad Annecy, tra le sue prossime tappe ci sono Mosca, Istanbul, il Cinemagic di Londra, il Cph Pix, il Lucas Film Festival. Le vendite internazionali sono affidate alla società di base a Roma TVCO.

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