Recensione: Everything Will Not Be Fine
- Con il loro primo lungometraggio documentario, forse il rumeno Adrian Pîrvu e l'ucraina Helena Maksyom non raggiungono il luogo dove erano diretti, ma ottengono esattamente ciò di cui avevano bisogno

È abbastanza insolito per un regista iniziare a lavorare su un certo argomento, per poi finire con un film completamente differente. Ancor di più se si tratta di documentari, quando la ricerca e i protagonisti spesso ci portano verso direzioni inaspettate. Ma questo aspetto raramente è stato così evidente in Everything Will Not Be Fine [+leggi anche:
trailer
intervista: Helena Maksyom
scheda film], il primo lungometraggio documentario del rumeno Adrian Pîrvu e dell’ucraina Helena Maksyom, vincitore dei premi per il Miglior lungometraggio ucraino e per il Miglior regista all'Odessa International Film Festival (leggi la news).
Pîrvu nasce nel 1986, tre mesi dopo il disastro di Chernobyl. Sua madre, quando era ancora incinta, andò per un viaggio di lavoro nell’URSS, e suo figlio è nato cieco. Dopo un paio di operazioni, il dottore è riuscito a ridargli la vista all’occhio destro, ma tutt’ora sta ancora lottando contro il glaucoma. Solo e privo di obiettivi all’età di 25 anni, ha deciso di produrre un film sulle persone colpite allo stesso modo dall’incidente nucleare. Come afferma nel film, lo ha fatto per iniziare a sentirsi meglio con sé stesso.
Durante la sua ricerca di persone da intervistare, ha incontrato Maksyom a Kyiv, una giornalista con un lavoro ben pagato, ma noioso, nel campo del marketing. La sua malattia, sebbene mai dettagliata, riguarda la colonna vertebrale, e dopo un intervento chirurgico che non le ha risolto completamente il problema, ma almeno le ha alleviato il dolore cronico, si è unita a Pîrvu nella produzione del film. Essi si innamorano, il che è evidente nella prima scena, quando si filmano l’un l’altro nel letto, mangiando gelato.
La coppia si reca a Chernobyl e nelle zone ucraine e bielorusse maggiormente colpite dal disastro, e anche a Monaco, per un’altra operazione di Pîrvu. A un certo punto, anche Maksyom si sottopone a un intervento in Lituania. Per tutto il film, visitano persone con malattie diverse, tra cui la cecità e malattie ossee. Alcune di queste scene sono abbastanza toccanti, ma rimangono ai margini della narrazione, che piuttosto si incentra sul mondo interiore dei due coproduttori e sulla loro relazione. “Nessuna delle persone che abbiamo incontrato risiede a Chernobyl, per via delle loro malattie; hanno accettato la cosa e sono andati oltre”, dice Pîrvu attraverso la voce fuori campo.
Il documentario è strutturato quasi come un dialogo tra i due co-registi, utilizzando anche la voce fuori campo di Maksyom stessa. Ma è chiaro che sia Pîrvu a fare da guida, nonostante Maksyom appaia più lucida, seria, pronta a dire pane al pane e vino al vino e ad essere onesta con il suo partner e con sé stessa. La loro relazione è affettuosa e amorevole, ma è abbastanza?
Il titolo del film è amaro, ma l’intenzione è proprio il contrario della disperazione e dell’angoscia. Essi lotteranno per sempre contro le loro malattie e non esiste una soluzione definitiva. Lo sanno, ma l’accettazione di ciò avviene per ognuno in maniera diversa.
Il documentario ha una qualità pura, intima che deriva dal fatto che i due registi/protagonisti utilizzano la camera come se stessero facendo un home video. Paradossalmente, è questo che lo rende un film forte: così tanti aspetti personali si sovrappongono ed è impossibile separare ciò che rappresenta la “vita” e quella che ne è la parte “cinematografica”. Il montaggio di Alexandru Radu è controllato e lascia che il materiale si esprima da solo, assicurandosi sempre che lo spettatore sappia in che luogo e in che spazio si trovano in un determinato momento.
Everything Will Not Be Fine è una coproduzione delle rumene Hi Film Productions e microFILM, e della ucraina Tato Film. La Deckert Distribution di Lipsia detiene i diritti internazionali.
(Tradotto dall'inglese da Chiara Morettini)
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