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LES ARCS 2020

Recensione: C’est toi que j’attendais

di 

- Stéphanie Pillonca esplora il tema dell'adozione da quattro punti di vista. Un documentario molto toccante in cui si mescolano passato, presente e futuro

Recensione: C’est toi que j’attendais

"Mi sento molto sola e sto zitta quando, intorno a me, tutte le cicogne bussano alle porte, sono passate di lì. Voglio urlare, voglio piangere, mi aggrappo al tuo collo. Cosa fanno gli altri? Cosa hanno gli altri in più di noi?". Evocata da uno dei protagonisti del film, questa canzone del duo Brigitte, Je veux un enfant, risuona con struggente intensità nel cuore del documentario C'est toi que j'attendais [+leggi anche:
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di Stéphanie Pillonca, che sarà presentato in anteprima domani al 12° Festival di Les Arcs come parte di Hors Piste Digital, in vista della sua uscita in Francia, in data ancora da definirsi, a inizio 2021.

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Emozione eminentemente universale, il desiderio di un bambino può essere travolgente quando è aggravato da complicazioni perché è un legame molto intenso tra passato, presente e futuro, che rimanda ciascuno alle sorgenti più istintive della propria storia intima e moltiplica le cariche emotive. È a questo crocevia dove si intrecciano gioie e sofferenze, speranze e disillusioni, specchi di chi siamo e di chi saremo, che la regista (che firma qui il suo secondo lungometraggio dopo il debutto nella fiction con Fleur de Tonnerre [+leggi anche:
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) ha scelto di collocarsi, privilegiando un approccio plurale attraverso quattro traiettorie che raccontano l'adozione.

Da una parte troviamo due coppie impegnate in un processo di adozione, una ancora nelle prime fasi, nell'ansia dei colloqui e delle visite per valutare la propria candidatura ("è un'avventura che speriamo vada bene, ma non sai fino a che punto puoi arrivare e nessuno te lo può dire"), mentre l'altra ha già ricevuto l'approvazione ma è in attesa da quasi tre anni di avere in affidamento un bambino ("la gente ci chiede notizie ogni settimana e spieghiamo loro che il giorno in cui avremo notizie, sarà il giorno del sì e quel giorno forse non arriverà mai"). Due coppie che ovviamente hanno percorsi personali toccanti (anche molto commoventi) che le hanno portate al desiderio di adozione.

Da un’altra parte, il documentario dà voce a una madre che ha partorito in anonimato (la straziante storia di un'adolescente inglese di 16 anni che rimane incinta al suo primo rapporto sessuale, riesce a nascondere la sua gravidanza, partorisce da sola nella casa di famiglia delle vacanze sulla neve in Francia e convinta, in stato di shock, dai suoi genitori a rinunciare al suo bambino) e che sogna di ritrovare questo figlio quasi trent’anni dopo ("vorrei sapere dov'è, se è felice, cosa fa") per placare la sua anima traboccante di colpa e di amore materno insoddisfatto. Uno struggente desiderio di riallacciare un legame che è anche quello di un padre di famiglia francese che conduce un’indagine sottile sulla sconosciuta che lo ha partorito in anonimato nel 1972 ("sono tante le domande che vorrei avessero risposte").

Scritto dalla regista con Astrid de Lauzanne, C’est toi que j’attendais è un documentario di testimonianze a cui la regista sa perfettamente dare un respiro cinematografico. E se il potere dei personaggi è relativamente disomogeneo tanto certe traiettorie sono emotivamente travolgenti, il proposito dei quattro angoli del film è totalmente giustificato perché un bambino, in fondo, è una complessa combinazione di affetti, una proiezione e una realtà, un tutto e un tutti.

Prodotto da Wonder Films, C’est toi que j’attendais è venduto nel mondo da Pyramide.

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(Tradotto dal francese)

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