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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: Ghiaccio

di 

- L’esordio del cantante Fabrizio Moro con Alessio De Leonardis è un film sulla boxe che non evita stereotipi e troppe metafore ma affascina per la sua lealtà

Recensione: Ghiaccio
Vinicio Marchioni e Giacomo Ferrara in Ghiaccio

Bang bang. Due colpi e la coppia di killer in scooter fa fuori un debitore in ritardo con i pagamenti. Siamo agli inizi degli anni 90 nella borgata romana del Quarticciolo e Ghiaccio [+leggi anche:
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, nelle sale italiane il 7, 8 e 9 febbraio con Vision Distribution, è l’esordio alla regia dell’autore e cantante pop rock Fabrizio Moro che ha scritto e dirige il film insieme a Alessio De Leonardis già autore dei videoclip di alcune sue canzoni (Moro firma anche il brano della colonna sonora Sei tu). Qualche anno più tardi la moglie della vittima (Lidia Vitale) sta ancora pagando i debiti del marito alla malavita mentre il figlio Giorgio (Giacomo Ferrara) dal papà ha ereditato solo una felpa con la scritta “Totti 10”.  Lo vediamo correre per le strade del quartiere per tenersi in forma anche se sulla soglia della palestra si accende una sigaretta. Gli manca solo un incontro per diventare professionista di boxe, ma Giorgio sniffa e spaccia coca e la madre è convinta che vada ai colloqui di lavoro. L’allenatore (Vinicio Marchioni, Il giorno e la notte) è un pugile mancato che vede nel ragazzo la sua chance di rivincita su una vita che lo costringe a svegliarsi alle 4 del mattino per spostare cassette di frutta ai mercati generali per poi aprire la palestra alle 6.

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Perfettamente aderente al sottogenere reso sublime da Scorsese con De Niro, Sylvester Stallone, Clint Eastwood e Hilary Swank, Robert Wise e Paul Newman, Michael Mann con Will Smith, David O. Russell con Mark Wahlberg e Christian Bale, eccetera, Ghiaccio è un film su caduta e redenzione, sacrificio e riscatto. Anche qui il ring è metafora della vita, sin dalla scritta che campeggia in apertura del film: "Il pugilato non è solo uno sport: è una filosofia di vita. Un combattente è un combattente. Sempre. Anche e soprattutto al di fuori del ring”. Dunque quando Giorgio si preparerà per quel combattimento e il boss che trucca gli incontri comprerà il suo debito e gli chiederà di cadere al terzo round, il giovane dovrà prendere una decisione (“quando ti mettono all’angolo devi rispondere ai colpi”): se essere buono o cattivo in un ambiente che ti vuole cattivo a tutti i costi.

Tra discussioni da gangster sul significato dai soprannomi (non c’entra Tarantino, i criminali fanno davvero quei discorsi) e un flirt con la ragazza del quartiere (Beatrice Bartoni) il film corre dritto come un jab verso la fine, incernierato su una sceneggiatura che sprizza tanta retorica, dettata anche da pezzi di vita vissuta da Fabrizio Moro: la metafora del ghiaccio che dà il titolo al film, le frasi sulla paura, sull’amore, sul vincere e perdere. Per la regia è impossibile sfuggire agli stereotipi, ma la fotografia pastosa e saturata di Simone Zampagni, che catturano i dettagli e le atmosfere della Roma di periferia di quegli anni, la scenografia da Gaspare De Pascali, il montaggio da Luigi Mearelli sostengono quei movimenti di macchina che scommettono sui primi piani e rendono bene anche il dinamismo delle scene di scontro sul ring. Un piccolo film, leale come un combattimento “pulito”, per un pubblico giovane che sappia far proprio l’insegnamento di uno sport relegato alle periferie, e che sappia apprezzare la grande alchimia che si è creata sul set tra i due protagonisti Marchioni e Ferrara e quei mesi di allenamenti con il campione del mondo dei pesi supermedi in WBA Giovanni De Carolis.

Il film è una produzione La casa rossa con Tenderstories in collaborazione con Vision Distribution, in associazione con L’Università Telematica San Raffaele Roma in collaborazione con SKY e in collaborazione con RTI.

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