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CPH:DOX 2022

Recensione: The Pawnshop

di 

- Łukasz Kowalski ci dà il benvenuto nel posto dove si vende quasi tutto

Recensione: The Pawnshop

Benvenuti nel più grande banco dei pegni in Polonia. Ci sono giacche di pelle usate ovunque, vecchi DVD, scaffali pieni di ninnoli religiosi ed elettrodomestici da cucina apparentemente funzionanti. "Apparentemente", come dice un cliente arrabbiato che chiama per lamentarsi, all'inizio di quella che potrebbe essere la più lunga conversazione su un frullatore mai ascoltata.

Ci sono anche ricordi portati lì giorno dopo giorno da ex minatori, che ora lottano per trovare il loro posto. La loro regione, la Slesia, era nota per il carbone. Ma le cose hanno iniziato a cambiare tanto tempo fa, e loro sono rimasti indietro, incapaci di reinventarsi. Sarebbe interessante sapere se il regista di The Pawnshop, Łukasz Kowalski, ha radici slesiane. Anche perché la sua visione di questo mondo, ancora con un piede nel passato, è tenera e allo stesso tempo brutalmente sincera.

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È il suo sguardo tragicomico che rende questo film – presentato in anteprima al CPH:DOX – una delizia, e il fatto che il banco dei pegni del titolo si trovi in ​​una strada chiamata "Perseveranza" la dice lunga. Non sembra funzionare, almeno come business in sé, dal momento che non importa quanto ti sbatti, il registratore di cassa è sempre vuoto. Le persone che ci lavorano, che fumano una sigaretta dopo l'altra con vero e proprio impegno, discutono continuamente di soldi, poi regalano cose gratis. Il modo in cui trattano i clienti riporta alla mente ricordi non molto piacevoli della Repubblica popolare di Polonia, che è esistita fino al 1989, ma a volte la crudeltà scompare improvvisamente, sostituita dalla curiosità e dalla compassione. Non è chiaro chi siano queste persone, se vogliono approfittare di questa comunità impoverita o sostenerla. Forse entrambi, ed è per questo che è interessante.

Kowalski non ha bisogno di fare troppo; basta guardare la signora ossigenata che gestisce il posto (e che continua a chiedersi se ama ancora il suo capo), che insiste a indossare la pelliccia tutti i giorni al lavoro, senza una ragione apparente, e non la toglie quasi mai. Sono personaggi fantastici da osservare, piacerebbero anche ad Aki Kaurismäki. “Vendiamo quasi tutto”, annunciano, con grande onestà dobbiamo aggiungere, ma comprano anche molto. In questo negozio anche un dente di mammut può tornare utile, perché il titolare del negozio non resiste alla tentazione di esporre sul suo banco un insolito trofeo.

Quando decidono di registrare un video per promuovere il tutto, le cose diventano assurde. Ma non si ride soltanto. Le persone tendono a portare le loro storie insieme alle loro poche cose, e spesso è difficile ascoltarle. Famiglie numerose non sanno come sopravvivere la settimana successiva, ci sono storie di violenza domestica, alcolismo e reclusione, e la povertà si percepisce da subito. “Grazie per la chiacchierata”, dice una donna disperata che viene per vendere qualcosa, o forse soprattutto per parlare dei suoi problemi. Probabilmente è proprio questo il senso di questo posto, dopotutto: permettere che quelle conversazioni difficili abbiano luogo, tra un tosaerba rotto e un'enorme pila di vecchie scarpe. E sì, a volte tutto ruota attorno a un frullatore.

The Pawnshop è una produzione polacca guidata dal regista con Anna Mazerant.

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(Tradotto dall'inglese)

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