Recensione: Ritorno a Seoul
- CANNES 2022: Davy Chou conferma il suo talento con un secondo lungometraggio di finzione ben riuscito su un percorso iniziatico, tempestoso e toccante, di ritorno alla fonte di un'adozione

"Ti rendi conto che potrei cancellarti dalla mia vita in un batter d'occhio?". I sentimenti provati dai figli adottivi sono chiaramente più complicati degli altri: un tormentato mix di desiderio opprimente e/o represso di sapere chi sono i propri genitori biologici e di barriere erette sia internamente che esternamente per trattenere le emozioni il cui potere destabilizzante potrebbe rivelarsi enorme. Ma una volta presa la decisione di ritrovare i propri genitori, indipendentemente dai progressi che si fanno e dalle paure che ne derivano, ci si ritrova a entrare in una partitura per cui non si era preparati, in cui si cerca di capire a colpo d'occhio cosa ciò comporti e come decifrare i segnali e i rischi. Questo è il tema affrontato con grande zelo e competenza dal regista franco-cambogiano Davy Chou con Ritorno a Seoul [+leggi anche:
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intervista: Davy Chou
scheda film], film presentato nella sezione Un Certain Regard del 75° Festival di Cannes. È un film a tutto tondo che vede il regista continuare la sua ascesa nel mondo della finzione iniziata nel 2016, sempre sulla Croisette, con l'acclamato Diamond Island [+leggi anche:
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scheda film] alla Semaine de la Critique.
"Hai intenzione di cercare i tuoi genitori? - No". Con il suo aspetto tipicamente coreano, l'attrice francese Frédérique Benoît, il cui personaggio è in vacanza nella "terra della calma mattutina" per due settimane (a causa della cancellazione del suo volo per il Giappone), intriga i giovani locali con i quali simpatizza con traboccante disinvoltura in quanto è intraprendente, ma anche molto brusca se necessario, il che non si sposa bene con la cultura del luogo che è molto più diplomatica. Quando scopre il centro Hammond, la più grande struttura per adozioni in Corea, Freddie (Ji-Min Park) – che ha 25 anni e il cui unico ricordo della sua terra natale è una foto (che lei pensa sia di sua madre) – non sa in cosa si stia cacciando (non parla nemmeno coreano), ma avvia le procedure e scopre rapidamente in quali città vivono il padre biologico (Kwang-Rok Oh) e la madre. Il primo risponde al telegramma inviato dal centro e invita la figlia a trascorrere il fine settimana con lui e la sua famiglia. E’ l'inizio di un turbolento viaggio di otto anni...
Bel ritratto di una giovane donna combattuta tra emozioni violentemente contraddittorie e, inconsciamente, tra due paesi, Ritorno a Seoul costruisce metodicamente una diga (in quattro periodi temporali), un passaggio che ci conduce lentamente attraverso gli stati d'animo di Freddie, tra l'evasione attraverso feste o avventure senza senso e una tristezza latente che la divora e alla fine la porta ad accettare un padre con sensi di colpa molto evidenti ("ogni volta che beve, piange e parla di te") e una madre quasi inaccessibile. È un percorso iniziatico perfettamente confezionato offerto dal talentuoso Davy Chou, che gestisce emozioni contenute e ribollenti con esperta disinvoltura, per poi alleggerire l'atmosfera con alcune scene piuttosto divertenti causate da scontri culturali e sequenze in cui l'energia della giovinezza può essere avvertita in pieno. È una miscela seducente, che ha già conquistato Sony Pictures Classics (per Nord America, America Latina, Medio Oriente, Australia e Nuova Zelanda) e MUBI (per Regno Unito, Italia, Irlanda, India, Turchia e Sud-est asiatico).
Prodotto da Aurora Films e coprodotto da Vandertastic Films e Frakas Productions, Ritorno a Seoul è venduto da mk2 films.
(Tradotto dal francese)
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