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LONDRA 2022

Recensione: Empire of Light

di 

- L'ultimo film del regista britannico Sam Mendes è una dichiarazione d'amore alla "magia dei film" e ai modi in cui eravamo soliti consumarli, ma fa anche una pessima pubblicità a ciò che celebra

Recensione: Empire of Light
Micheal Ward e Olivia Colman in Empire of Light

Nel 1980, anno in cui è ambientato Empire of Light [+leggi anche:
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, un noto blockbuster intitolato L’impero colpisce ancora partì alla conquista dei cinema. Sebbene la sala art déco che funge da location principale di questo film proietti opere più attraenti per un pubblico adulto (All That Jazz, Gregory’s Girl, Toro scatenato), l’episodio della saga di Star Wars di George Lucas non è lontano dallo spirito di Empire of Light, che mira a sostenere il primato del grande schermo e l'esperienza della visione collettiva, salvandolo dalla frammentazione dell'era contemporanea. L'"impero" che colpisce è sia il vivace cinema locale (un gioiello situato sulla strada principale della città) sia la forma d'arte stessa, nonostante tutti i suoi problemi finanziari e le vicissitudini indotte dalla pandemia. Ma il ricorso al linguaggio dell'impero, o al linguaggio del dominio, è il modo migliore per rappresentarlo?

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Empire of Light, scritto e diretto da Sam Mendes (la cui carriera, dopo aver realizzato Skyfall [+leggi anche:
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, sembra essere arrivata al punto che molti prevedevano dopo American Beauty, il suo film di debutto), appena proiettato al BFI London Film Festival, si aggiunge a una lista recente di film un po’ troppo incerti nel loro modo di enfatizzare il fascino dell’esperienza della proiezione in sala e della cinefilia. Mentre Martin Scorsese resta coerente con le sue convinzioni senza temere le logiche attualmente imperanti nell'industria cinematografica, qui tutto è troppo vago e altisonante, e manca di specificità. È possibile comunicare molto di più dicendo che amiamo l'Arsenal, piuttosto che semplicemente “il calcio”. Le immagini fornite da Mendes in questo film (le scale di marmo a chiocciola, il fascio di luce nebuloso che emana dai proiettori) non è nemmeno una pubblicità particolarmente convincente per ciò che rappresenta, tantomeno per un film che voglia intrattenere. Quando i cinema hanno riaperto dopo il lockdown l'anno scorso, le campagne mediatiche degli esercenti hanno saggiamente optato per i montaggi delle loro imminenti attrazioni, non per sognanti travelling su moquette polverose.

La sceneggiatura di Mendes (la prima che firma da solo) si complica inutilmente quando cerca di introdurre altri temi di attualità, sebbene il suo punto di partenza sia valido, immaginando nei minimi dettagli le dinamiche che si potrebbero scatenare all’interno dello staff di un cinema. Mendes riunisce i giovani al loro primo impiego con i manager che occupano posizioni dirigenziali, dall'orgoglioso, anche se un po' snob, proiezionista Norman (Toby Jones), la cui abilità nel collegare le bobine e apportare modifiche al momento giusto è un'arte andata perduta, al regista Mr. Ellis (Colin Firth), un molestatore sessuale i cui sogni diventano realtà quando ottiene la prima regionale di Momenti di gloria rispetto alla catena di cinema Odeon, che domina il mercato britannico. Tuttavia, i personaggi principali del film sono la capoturno, Hilary (la grande Olivia Colman), e il suo collega nero e in seguito amante, Stephen (Michael Ward). Entrambi sembrano progettati per rappresentare i complessi dibattiti in corso sulla salute mentale e la discriminazione razziale. Invece di essere attuali e realistiche, queste caratterizzazioni sembrano un po’ forzate nella narrazione.

Come accennato in precedenza, ci sono alcuni dettagli molto appropriati sulla schiavitù salariale: i tentativi diplomatici da parte dello staff di costringere un cliente a disfarsi del suo cibo all'ingresso del teatro sono un buon esempio della messa in scena di Mendes, che trabocca di quella comicità molto british dell'umiliazione sociale. Eppure, mentre altri film hanno fornito memorabili sequenze in una sala cinematografica (dalle lacrime di Anna Karina in Questa è la mia vita alla scena madre di Bastardi senza gloria), è quasi perverso che questo film ambientato quasi esclusivamente in un cinema riesca a evocare solo timidamente le meraviglie che esso può contenere.

Empire of Light è una produzione britannico-americana guidata da Neal Street Productions e Searchlight Pictures. Quest’ultima, sussidiaria di Walt Disney Studios, è anche l’agente di vendita internazionale.

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(Tradotto dall'inglese)

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