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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: Brado

di 

- Il terzo titolo del regista e attore Kim Rossi Stuart è un film imperniato sul rapporto padre-figlio travestito da western esistenziale poco accomodante ma velatamente spirituale

Recensione: Brado
Kim Rossi Stuart e Saul Nanni in Brado

Non c’è niente di più cinematografico di un cavallo al galoppo al tramonto, e lo sapevano bene John Ford e Howard Hawks, che hanno creato il genere western (definito da André Bazin il film americano per eccellenza) continuato da Walsh, Mann, Boetticher e reinventato da Don Siegel e Sergio Leone. Nel cinema recente il cavallo è terapeutico, serve a combattere l’angoscia con la sua idea di libertà e bellezza assoluta. Se si scorrono i titoli sulle piattaforme è un proliferare di Dream Horse [+leggi anche:
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, Horse Girl, Ride Like a Girl, Black Beauty, The Rider.
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, il suo terzo film da regista e protagonista, distribuito nelle sale italiane da Vison Distribution dal 20 ottobre, Kim Rossi Stuart doma il western come si fa con un cavallo ombroso, lo stesso del film: lo blandisce, gli urla contro, si fa disarcionare e ci si rompe le ossa. Lo mastica, si fa masticare e sputare. Lo plasma a sua somiglianza. È l’anti-Uomo che sussurrava ai cavalli, lui sbraita e inveisce. Non è il sentimentale Robert Redford ma l’asciutto, scostante Cavaliere pallido.

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Questa identificazione con gli antieroi del cinema americano di frontiera postmoderno Kim Rossi Stuart la esplicita a metà del film: “Ti presento il Clint Eastwood dei poveri”, fa dire al ricco proprietario del maneggio (un cameo del produttore di tutti i suoi film, Carlo Degli Esposti). Siamo in una zona rurale del centro-nord, dove si è ritirato a vivere Renato (Rossi Stuart), in un ranch ereditato dal padre. Il Brado del titolo è il nome del ranch, ed è un aggettivo che rispecchia bene la natura del protagonista. Caduto da un cavallo bizzoso che sta cercando di allenare per le competizioni di cross-country, Renato riporta un po’ di fratture che gli impediscono di cavalcare. Viene raggiunto dal figlio poco più che ventenne Tommaso (lo stesso nome del protagonista del film precedente di Rossi Stuart, qui interpretato da Saul Nanni), che da anni non ha più alcun rapporto con il padre.

Tommaso accetta con riluttanza di addestrare il cavallo al posto del padre e questo appassionato impegno lo riavvicina all’indurito genitore con il quale ha vissuto un’infanzia felice e senza briglie, fatta di cavalcate notturne, prima che il rapporto dilaniante con la madre (Barbora Bobulova) lo portasse a non essere più un buon padre. Gli ostacoli lungo la pista percorsa dal cavallo sono metaforicamente gli stessi che devono affrontare i due sulla strada della riconciliazione, inclusa quella con se stessi. Per il giovane Tommaso c’è anche un amore tossico di cui liberarsi (Alma Noce) e uno più sano in avvicinamento (l’esordiente Viola Sofia Betti).

La sceneggiatura del film, scritta dal regista con Massimo Gaudioso, l’esperto collaboratore fisso di Matteo Garrone, si ispira ad un racconto inserito nel libro d’esordio di Kim Rossi Stuart Le guarigioni del 2019. Nel film il regista chiede al direttore della fotografia Matteo Cocco di ottenere un’estetica da genere western crepuscolare, con alcune belle sequenze in esterni notturni, mentre sottopone il suo corpo di attore ad un graduale abbandono e degrado, fino ad avvicinarlo al Cristo morto del Mantegna, sotto le musiche basate su chitarra acustica e violini del rodato Andrea Guerra. Dopo Tommaso [+leggi anche:
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e Anche Libero va bene [+leggi anche:
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, Kim Rossi Stuart conferma con Brado una vena esistenziale che mette in crisi mascolinità e relazioni umane e che percorre un cinema non accomodante, non pacificatorio ma allo stesso tempo, con questo terzo film, cautamente spirituale (è noto il suo recente avvicinamento alla religione cristiana). Una vera eccezione nel panorama italiano odierno.

Brado è prodotto da Palomar in collaborazione con Vision Distribution, Sky e Prime Video.

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