Recensione: Traces
- La protagonista del malinconico debutto alla regia di Dubravka Turić cerca di andare avanti con la sua vita dopo la morte del padre

I problemi del primo mondo sono comunque problemi. Il senso di perdita (imminente) e di solitudine che diventa il sentimento predominante nella vita è sempre lo stesso, sia che si tratti di una persona benestante con un'esistenza confortevole, sia che si tratti del contrario. A volte, l'ossessione per qualcosa che potrebbe essere visto come primitivo o divino può, allo stesso tempo, essere l'unica e sola forza che ci permette di andare avanti nella vita. È questo il caso di Traces [+leggi anche:
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intervista: Dubravka Turić
scheda film], il lungometraggio d'esordio alla regia di Dubravka Turić, nota per i suoi lavori di montaggio in The Reaper [+leggi anche:
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scheda film] di Danilo Šerbedžija, oltre che per i cortometraggi che ha scritto e diretto, tra cui Cherries (2017), proiettato a Cannes.
Traces è stato presentato in anteprima mondiale nel concorso 1-2 del Festival di Varsavia, mentre la sua proiezione nel concorso principale del Festival di Zagabria segna la sua prima nazionale. Con alcune partecipazioni ai festival già effettuate, questa coproduzione croato-serbo-lituana potrebbe diventare un appuntamento fisso nei piccoli festival della prima metà dell'anno prossimo.
La protagonista, Ana (Marija Škaričić, famosa per Mare [+leggi anche:
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intervista: Andrea Staka
scheda film]), soffre di una malattia autoimmune della pelle che le lascia segni di decolorazione sul viso e sulle mani, che nasconde sotto strati di trucco. Per il resto, Ana è una dottoressa in antropologia con un lavoro presso un istituto statale e si sta dedicando alla stesura di un libro sulle usanze funerarie locali. È particolarmente interessata alla cosiddetta Mirila, che significa "misurazione", un'usanza in cui si prende la misura del defunto usando due pietre, una per la testa e una per i piedi, e la lapide viene poi decorata con simboli personali.
Trascorre la maggior parte del suo tempo lavorativo in stanze e archivi bui, e anche nel suo tempo libero non c'è luminosità. Vive in un enorme appartamento poco illuminato nel centro di Zagabria con il padre malato (Mate Gulin) e esce raramente con le amiche (Lana Barić e Marina Redžepović, tra le altre), i cui argomenti di conversazione ruotano intorno alle stesse cose poco mature anno dopo anno. Una volta morto il padre, Ana deve confrontarsi con se stessa, con la sua solitudine, con i suoi sentimenti, con il suo lutto duraturo e con la sua ossessione per i simboli delle lapidi che le sembra di vedere ovunque. Forse un viaggio nel villaggio del padre, il luogo dei suoi ricordi d'infanzia più felici, e l'incontro casuale con un suo amico d'infanzia, Jozo (Nikša Butijer, bravissimo), potrebbero aiutarla a schiarirsi le idee e a ricominciare la sua vita.
Škaričić si è perfettamente calata nel ruolo e possiede un'aura in grado di trasformarla da una persona tranquilla e solitaria che affronta il suo dolore da sola in un personaggio più rilassato e gioioso. La presenza più gioviale di Nikša Butijer nel ruolo di Jozo e la scelta delle attrici che interpretano i suoi amici completano perfettamente la sua interpretazione pacata. Poiché Ana trascorre la maggior parte del tempo da sola, il dialogo non è necessariamente l'ingrediente chiave del film, Turić si affida molto alle mere componenti audiovisive, come l'uso della luce nella fotografia curata da Damjan Radovanović, la colonna sonora suggestiva di Jonas Jurkunas e il sound design di Dubravka Premar.
Turić si è occupata da sola del montaggio, in modo da mantenere il pieno controllo sul film e sulla sua atmosfera, e una delle chicche di questo aspetto è un finto documentario televisivo in stile anni Ottanta che si intreccia con le ricerche di Ana. L'unico problema potenziale del film è la sua struttura molto libera con un finale arbitrario, ma tutto sommato Traces è un'opera d'atmosfera avvincente.
Traces è una coproduzione tra Croazia, Serbia e Lituania di Kinorama, Tremora and Corona Film.
(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)
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