Recensione: Piove
- L’horror di coproduzione italo-belga firmato da Paolo Strippoli è un film post pandemia che estremizza paure, rabbia e tensioni sociali amplificate dai social media

C’è qualcosa di malvagio e tossico nelle fogne di Roma, la Cloaca Maxima dell’antichità ancora in funzione dopo oltre 2500 anni, nel film Piove [+leggi anche:
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scheda film] di Paolo Strippoli, che dopo svariati festival specializzati nel fantastico - Austin, Strasburgo, Sitges, Curtas, Brooklyn - ha avuto la prima italiana ad Alice nella città della Festa del Cinema di Roma e approda ora al Trieste Science+Fiction Festival.
Un effluvio che avvelena la mente, scatena gli istinti più violenti, e che contagia anche la famiglia Morel. Il padre Thomas (l’attore belga Fabrizio Rongione) è un uomo dal passato brillante ed ora ridotto ad un individuo spento, come svuotato, che si barcamena tra piccoli lavori e si prende cura della sua piccola Barbara (Aurora Menenti), che non ha più l’uso delle gambe. Il figlio maggiore Enrico (Francesco Gheghi) è un adolescente ribelle, dagli atteggiamenti provocatori e autolesionisti. Padre e figlio si accusano a vicenda di qualcosa di drammatico che è accaduto in passato e che il regista ci farà scoprire in un lungo flashback nel sottofinale, quando la loro era una famiglia felice assieme alla mamma Cristina (Cristiana Dell’Anna). Del resto i conflitti e le esplosioni di rabbia si moltiplicano nel condominio, in strada, al supermercato, in tutta la città, ben fotografata con colori cupi e lenti anamorfiche da Cristiano di Nicola, e resa inquietante dalle musiche di Raf Keunen.
Diviso in capitoli che alludono al ciclo dell’acqua (evaporazione, condensazione, precipitazione…) con una virata decisa verso il “gore” nella seconda parte, il secondo lungometraggio di Strippoli (dopo il film Netflix A Classic Horror Story [+leggi anche:
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scheda film] codiretto con Roberto De Feo) è “un horror dei sentimenti”, come nel 2017 la giuria del Premio Franco Solinas aveva definito, premiandola, la sceneggiatura del ventisettenne Jacopo Del Giudice. Sceneggiatura che è stata riscritta varie volte ed oggi è firmata da Del Giudice con il regista e Gustavo Hernández.
“Horror dei sentimenti” è la descrizione più appropriata per definire quella propensione, che si sta registrando in tempi recenti anche nel cinema italiano, alla ibridazione del cinema che osserva la società con il cinema di genere. Alcuni giovani sceneggiatori e registi stanno imparando a utilizzare i codici dell’horror (o del western, della fantascienza) per un discorso simbolico sullo sguardo contemporaneo. Ricorrono al genere per schivare un cinema d’autore diventato sempre più autoreferenziale. Come gli zombie capostipite di George A. Romero riflettevano su razzismo, capitalismo e consumismo e oggi Jordan Peele critica con l’horror il liberalismo statunitense (Get Out) e i pericoli dell’entertainment (Nope), nel dopo-covid ci si può esercitare su tutte le paure possibili di una società turbata da pandemie, guerre nucleari minacciate e allarmi ecologici. Piove, nel suo piccolo, è un film la cui derivazione post covid è evidente nell’estremizzazione delle tensioni nate da costrizioni e restrizioni, amplificate dal sottofondo costante e ansiogeno dei social media. E non può che collocarsi nella zona geografica dell’orrore. In una nota, il regista esplicita questo rapporto con il presente: “La Roma di Piove è costantemente sul punto di esplodere, e non è troppo distante da quella reale. Basta trovarsi in fila al supermercato o alle poste, nel traffico, in un autobus troppo pieno per sentire la rabbia strisciare tra la gente. È la stessa rabbia che alimenta le declinazioni peggiori della politica di oggi, che dà adito agli sfoghi più beceri sui social network, che ci rende sempre più individualisti”.
Piove è una coproduzione tra Italia e Belgio di Propaganda Italia, in associazione con Polifemo e GapBusters. Esce nei cinema italiani il 10 novembre distribuito da Fandango. Rai Com si occupa delle vendite estere.
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