email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

POPOLI 2022

Recensione: Happy Pills

di 

- Il documentario di Arnaud Robert e Paolo Woods è un viaggio nell'universo dei farmaci e nell’obbligo globalizzato alla felicità racchiusa in una pillola

Recensione: Happy Pills

Cos’è la felicita? La domanda che religione e filosofia si sono poste nei secoli è stata trasformata in epoca moderna in “la felicità può essere racchiusa in una pillola?”, a cui la scienza di Big Pharma ha offerto una risposta semplice, immediata e devastante e sulla quale la politica preferisce intervenire in modo piuttosto blando, mentre i media fanno della felicità un dovere più che un diritto. È la domanda che sta alla base di Happy Pills [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
, documentario firmato dallo svizzero Arnaud Robert, che ha già all'attivo tre film documentari, e Paolo Woods, fotografo canadese-olandese che si dedica al giornalismo d’inchiesta, che ha avuto la sua première mondiale al Festival dei Popoli di Firenze.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)
Hot docs EFP inside

Per immergersi nell’obbligo globalizzato alla felicità, Happy Pills intraprende un viaggio in 6 Paesi diversi, raccogliendo storie che diano un senso alla domanda iniziale. Il film si apre negli slum di Bombay, dove giovani culturisti si bombardano di steroidi per partecipare ai concorsi, ma si sposta presto in altri continenti. Partendo da casa, la Svizzera, uno dei tre Paesi più “felici” del mondo in cui un abitante su quattro ricorre almeno una volta nella vita a delle cure per la depressione. Qui Patrick combatte con sertralina e quetiapina contro la sua pulsione al suicidio, entrando ed uscendo da un istituto psichiatrico dove altri farmaci stabilizzano la sua tristezza inguaribile e gli rendono la realtà accettabile. Farmaci che hanno fatto milioni di morti in Occidente hanno raggiunto anche i Paesi più poveri del mondo: Alzouma è un giovane in Niger che consuma il Tramadol, un potente antidolorifico spacciato per strada, per poter lavorare tante ore al giorno senza affaticarsi, lì dove una volta si usava l’infuso di corteccia d’albero. In Massachusetts, invece, l'adolescente Addy assume Adderall e Ritalin per curare il suo disturbo da deficit di attenzione (negli Usa è diagnosticato al 10% dei ragazzi) perché sua madre preferirebbe che la sua performance scolastica non fosse così terribile come quella dello zio Jay.

Il viaggio alla ricerca della felicità continua con Maris, giovane di Tel Aviv che vuole vivere appieno la sua omosessualità, senza paura dell’AIDS e compie ogni mattina il rituale delle pillole PrEP, che sta per profilassi pre-esposizione. Per lui PrEP si avvicina molto al concetto di “peace of mind”, anche se la dottoressa gli spiega che la prima linea di difesa rimane il buon vecchio condom. Farmaco della felicità, anzi della libertà, è anche “la” pillola per eccellenza. Quella anticoncezionale. Il documentario segue Yurica, giovane donna dell'Amazzonia peruviana che si inietta contraccettivi per non rimanere nuovamente incinta mentre cresce da sola i suoi quattro figli, in un Paese in cui domina il (pericoloso) concetto di “metodo naturale” e gli uomini tradizionalmente non conoscono la responsabilità. Chiude il tour farmacologico un intellettuale francese, Louis, affetto da cancro al pancreas, che decide di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera e si fa iniettare il Pentobarbital. Un caso in cui una vita che è stata felice preferisce una fine altrettanto serena e consapevole.

Con un approccio tradizionale, vicino all’inchiesta classica, la lente della telecamera di Robert e Woods scruta nei volti dei protagonisti di queste storie, in cerca di un segnale che spieghi l’abuso di ansiolitici, antidepressivi, sonniferi, oppioidi che riparano le ferite umane. È un viaggio trasversale che non giudica, consapevole del fatto che siamo tutti in cerca di risposte chimiche ad una domanda esistenziale. I loro brevi commenti più che sentenze esprimono preoccupazione per un mondo dominato dalla paura di fallire e dalla pressione al successo, in cui l’adolescenza è considerata una malattia, in cui sembrare è l’equivalente di essere felici.

Il film è prodotto dalla svizzera Intermezzo Films in coproduzione con RTS Unité des films documentaires, SSR-SRG, ARTE G.E.I.E. Le vendite internazionali sono curate da Lightdox.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy