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SOLETTA 2023

Recensione: Papaya 69

di 

- Francesca Reverdito e Riccardo Bernasconi regalano al pubblico una commedia dolce-amara sulla migrazione e l’amicizia

Recensione: Papaya 69
Rosanna Sparapano e Valentina Violo in Papaya 69

Da una collaborazione artistica intensa come quella tra Francesca Reverdito e Riccardo Bernasconi non poteva che nascere un primo lungometraggio altrettanto intenso e sorprendente (per non dire destabilizzante). Papaya 69, presentato in prima mondiale alle Giornate di Soletta nella sezione Panorama, è in effetti una commedia in stile volutamente DIY e artigianale che rivendica con fierezza la propria differenza.

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Girato con una crew di fedeli collaboratori, il primo lungometraggio di Reverdito e Bernasconi parla di amicizia ma anche di famiglia nel senso lato del termine. “La famiglia è quella che ti scegli” afferma la regista come a volerci ricordare che i sentimenti, quelli profondi, non hanno necessariamente a che vedere con i legami di sangue. Famiglia significa sostegno e rispetto, accettazione delle differenze di ognuno e riconoscimento reciproco delle similitudini che uniscono.

Eva, la protagonista di Papaya 69 (interpretata da Rosanna Sparapano, una collaboratrice di lunga data dei registi), è una giovane ragazza sudamericana in fuga da un compagno violento e da una vita fatta di sfruttamento e dipendenza. La seconda protagonista del film è Rainbow (Valentina Violo), ex-star della TV vittima di un successo giovanile che la soffoca e traumatizza. Incapace di liberarsi dal personaggio interpretato quando aveva solo quattordici anni, Rainbow decide di sfruttarne la notorietà proponendone ad un pubblico di soli adulti una versione hot via la sua webcam. L’incontro fortuito tra Eva e Rainbow permetterà alle due anti eroine di liberarsi dal giogo di uomini violenti e narcisisti che pensano di poterle controllarle come se fossero dei burattini. Un incontro inaspettato e decisamente movimentato che permetterà alle due protagoniste di riconciliarsi con il loro passato.

Fedeli al loro universo artistico per certi versi artigianale (termine che i due registi rivendicano fieramente), Reverdito e Bernasconi ci propongono con Papaya 69 una commedia agrodolce nella quale la tragicità del reale si mescola abilmente con la leggerezza surreale di situazioni e personaggi che sembrano usciti da un film di Almodovar. Almodovariana anche la scelta dei costumi (dei quali Reverdito si occupa con precisione chirurgica), coloratissimi e vintage in stile deliziosamente 80s. Come spiegato dalla regista, nei loro film tutto è “recuperato”. Che si tratti dei costumi o degli accessori, nulla si butta in uno spirito ecologista e per certi versi circense decisamente attuale. Reverdito e Bernasconi vogliono fare un cinema diverso, intenzionalmente imperfetto e per questo più diretto e intimo. La libertà impregna ogni immagine, riflesso di un universo artistico che non cede alle mode o alle tendenze del momento. Il motore dei film creati dal duo di registi sono i loro gusti personali, la bellezza di un universo cinematografico che con gli anni è diventato sempre più complesso e proteiforme.

Papaya 69 incarna perfettamente questo spirito libero, la sfacciataggine o forse l’incoscienza di due registi che vivono la loro arte a 360°. I personaggi del loro ultimo lungometraggio sono degli outsiders che cercano di sopravvivere in un mondo che vuole zittirli perché diversi, merce danneggiata della quale è meglio liberarsi. Grazie alla cinepresa di Bernasconi e Reverdito questi stessi personaggi riescono a gridare il loro dolore, a trasformare le ferite del passato in armi al servizio di una rivoluzione sotterranea che emerge lentamente in superficie. Papaya 69 è un film apparentemente semplice e leggero che nasconde dentro di sé un’anima ribelle e indomita.

Papaya 69 è prodotto dalla ticinese PiCfilm e dalla RSI (Radio Televisione svizzera).

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