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BERLINALE 2023 Forum

Recensione: Le Gang des Bois du Temple

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- BERLINALE 2023: Rabah Ameur-Zaïmeche rinnova il film di rapina, isolando i codici e le dinamiche del genere, e iniettandovi una cronaca più autentica della banlieue

Recensione: Le Gang des Bois du Temple
Nassim Zadoui in Le Gang des Bois du Temple

"L'amore non rende schiavi, ma volontari; devi avere pelle morbida e nervi di ferro (...) Possa il desiderio superarmi, tenermi in allarme, nessuno dimentichi le nostre corazze, non più delle nostre armi”. Intitolata La beauté du jour, è una canzone strana, piuttosto sorprendente per un funerale, che Annkrist interpreta in chiesa, con un'intensità accattivante, solo alcune folgoranti sequenze dopo l'ottimo inizio del nuovo film di Rabah Ameur-Zaïmeche, Le Gang des Bois du Temple [+leggi anche:
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, presentato al Forum della 73ma Berlinale.

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Era chiaro che imbarcandosi in un film di rapina, il regista franco-algerino, ben noto per le sue singolari opere regolarmente proiettate nei principali festival (tra cui Bled Number One [+leggi anche:
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, Les Chants de Mandrin [+leggi anche:
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), non avrebbe preso il genere di petto, ma lo avrebbe sovvertito in modo sottile (come dice un personaggio: "è una fortuna che non sia troppo interessato a quello che stai facendo"), confondendo intenzionalmente le tracce geografiche, prendendo scorciatoie narrative e distillando surrettiziamente le sue motivazioni socio-politiche sotto l'apparenza di un gang movie, che sembra molto più vicino a Melville che ad Athena.

La trama segue un gruppetto di amici di lunga data di una cité di Bordeaux (il cui nome corrisponde a un territorio della regione parigina) che punta, su una strada del Sud, e armi automatiche alla mano, l'intendente anglosassone (Lucius Barre) di un principe arabo (Mohammed Aroussi). "Bingo!": tanti soldi, gioielli, orologi... Ma l’entusiasmo generale, temperato dalla necessità di mantenere un basso profilo, sarà di breve durata perché c'è anche una valigetta piena di "documenti sensibili" che il principe (amante dei cavalli da corsa e dell'arte) vuole assolutamente recuperare. Un fidato investigatore (Slimane Dazi) si mette sulle loro tracce e, ben presto, la banda di rapinatori (Philippe Petit, Kenji Meunier, Salim Ameur-Zaïmeche, Kamel e Rida Mezdour, Nassim Zazoui e Sylvain Grimal) si ritrova braccata. Il tutto sotto lo sguardo un po' vacuo (la sigaretta che gli pende dalla bocca su un balcone, quando non sta compilando schedine per le corse al bar) del signor Pons (Régis Laroche), ex cecchino militare che ha appena seppellito sua madre e che ha visto crescere tutti i componenti della piccola banda.

È infatti una storia di famiglia quella che il film racconta attraverso figure appena abbozzate, una famiglia della banlieue, emblematica di tutte le banlieue del mondo, così lontane e così visivamente vicine ai centri urbani; una famiglia allargata con legami profondi e sogni semplici che si prende il tempo di chiacchierare agli angoli delle strade e che banchetta in un chiosco libanese allestito in un parcheggio lungo un'autostrada; una famiglia che vive e muore insieme, diametralmente opposta all'universo degli sceicchi del petrolio. Tutto il resto – inseguimenti, sparatorie, porte sfondate da uomini in passamontagna – non è altro che una storia di cowboy e indiani di cui Rabah Ameur-Zaïmeche conosce tutti i trucchi cinematografici e che mette in scena perfettamente (con un acuto senso dell'efficacia e dell'economia dei dialoghi), ma che serve solo da vago sfondo al suo vero interesse ("per soldi venderebbe sua madre, quell'americano, ma non abbiamo la stessa mentalità"). Tutto ciò si traduce sicuramente in un film strano, che per le menti più lineari potrà sembrare imperfetto; ma per altri, questa stranezza conferirà solo più fascino all'indescrivibile opacità del film.

Prodotto da Sarrazink Productions, Le Gang des Bois du Temple è venduto nel mondo da Reason8.

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(Tradotto dal francese)

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