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BERLINALE 2023 Panorama

Recensione: Sages-femmes

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- BERLINALE 2023: Nel suo film di finzione, Léa Fehner immerge due giovani ostetriche alle prime armi nel caos di una professione stressante, dove il confine tra gioia e dramma è molto sottile

Recensione: Sages-femmes
Khadija Kouyaté in Sages-femmes

"I problemi ci sono sempre, benvenuta nell'ospedale pubblico! Ma siamo una squadra". Quale mestiere più bello, sulla carta, di quello che aiuta le donne a partorire, ma ciò comporta anche enormi responsabilità ed emozioni condivise da incanalare in un ambiente ospedaliero dall’equilibrio precario, a causa della priorità finanziaria accordata da anni a una gestione just-in-time. "Se continuiamo ad accettare tutto, finiremo per perdere un bambino". Lanciandosi in un film di finzione sull'argomento, dal punto di vista della difficile integrazione e iniziazione di due giovani esordienti alla professione, la cineasta francese Léa Fehner (le cui due opere precedenti, Qu’un seul tienne et les autres suivront [+leggi anche:
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, sono state molto ben accolte) non fa mistero del suo impegno e della sua profonda preoccupazione nel suo film incredibilmente dinamico Sages-femmes [+leggi anche:
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, che è stato presentato nella sezione Panorama della 73ma Berlinale, e secondo capitolo (dopo À l’abordage [+leggi anche:
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di Guillaume Brac) di una serie di film realizzati per Arte e interpretati dagli studenti dell'ultimo anno al Conservatorio Nazionale Superiore d'Arte Drammatica di Parigi.

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"Andrà tutto bene. Possiamo farcela". All'ingresso dell'ospedale, le due amiche Sofia (Khadija Kouyaté) e Louise (Héloïse Janjaud) si incoraggiano e si rassicurano a vicenda. Dopo cinque anni di studio è il loro grande giorno, il primo della loro vita professionale come ostetriche. Sono accolte da un turbine, una visita fulminea del loro reparto, rimproveri da parte dei veterani ("se non riesci a ricordare quello che dico, sarà dura per te", "che cos'è questo sfogo emotivo? I tuoi umori li devi lasciare nello spogliatoio. Siamo al livello tre delle malattie più gravi. Ci renderai le cose difficili"). Da un travaglio all'altro, passo dopo passo, dall'adrenalina e dalla felicità collettiva di parti “facili” agli errori di valutazione (Sofia non si accorge di una rottura uterina e il bambino sopravvive per miracolo: "abbiamo un cuore, speriamo solo che il cervello non sia troppo danneggiato") che creano un circolo vizioso di stress e dubbi ("non possiamo salvare tutti") che interferisce con il lavoro, dalla gestione delle invadenti future nonne al disagio di rispedire per strada le migranti e i loro neonati, dai debriefing digitali alle feste di reparto, il team di maternità a corto di personale riesce a mantenere a galla la nave. Ma per quanto tempo possono continuare a piegarsi prima di rompersi?

Con gli occhi spalancati sulla realtà, l'intensità e il sangue freddo richiesti da questa professione, che opera così vicino alla vita (ma anche, allo stesso tempo, alla morte), la regista (che ha scritto la sceneggiatura con Catherine Paillé) mostra il suo dinamismo e va dritto all’essenziale entro i limiti imposti dal genere cinematografico ospedaliero (spazi ristretti, il rispetto quasi documentaristico per le attività e l'atmosfera del mondo medico), il tutto iniettando nel film anche un po’ di umorismo per evitare un eccesso di emozione e drammaticità. Non tutto è perfetto in questa miscela altamente empatica, che cerca di catturare l’enorme complessità individuale e collettiva attraverso il collo di un imbuto. Ma, mentre seguiamo la progressiva perdita d'innocenza delle due giovani protagoniste di Fehner e la loro crescente professionalità, la regista riesce a trasmettere il suo messaggio, denunciando condizioni di lavoro nei reparti di maternità francesi che stanno rapidamente raggiungendo il punto di rottura.

Prodotto da Geko Films per Arte France, Sages-femmes è venduto da Pyramide International.

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(Tradotto dal francese)

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