Recensione: The Cage Is Looking for a Bird
di David Katz
- BERLINALE 2023: Il primo lungometraggio della regista cecena Malika Musaeva è un dramma molto duro e disperato sull'essere imprigionati e poi liberati

Il gruppo di nuovi registi russi emergenti che hanno avuto come mentore Aleksandr Sokurov hanno in comune un aspetto particolare. Al di là del loro atteggiamento di opposizione ai valori mainstream del Paese (che non è mai stato un dato di fatto per i maggiori registi russi), oggi si trovano a vivere e lavorare fuori dalla loro patria, il che, vista l'attuale guerra in Ucraina, potrebbe essere uno status indefinito.
Dopo i successi a Cannes di Kantemir Balagov e Kira Kovalenko (entrambi fuggiti dalla Russia per stabilirsi negli Stati Uniti), è ora la volta di Malika Musaeva, che ha portato il suo primo lungometraggio The Cage Is Looking for a Bird [+leggi anche:
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intervista: Malika Musaeva
scheda film] nella sezione competitiva Encounters della Berlinale - primo film in lingua cecena in assoluto a essere presentato in anteprima a un evento di questa portata. Pur non essendo un'opera completamente realizzata dal punto di vista narrativo e, soprattutto, tematico - il che è comprensibile, dato che Musaeva sta ancora completando l'ultimo corso di studi post-laurea presso la Media School di Amburgo - il film mostra una consumata abilità registica e un vero e proprio talento per il linguaggio visivo di questo mezzo, nel puntare la sua rabbia contro il patriarcato religioso del Paese con un'acutezza da brivido.
In un tratteggio dei personaggi caratteristico di tanto cinema da festival di oggi, la nostra protagonista Yakha (Khadizha Bataeva, esordiente come tutto il cast), è un'eroina intraprendente che mira a emanciparsi dall'arretratezza locale, dove ogni progresso o speranza sono proibiti. Musaeva comunque resiste volentieri alla tentazione di creare per lei un arco sentimentale che banalmente le darebbe forza, impregnando la storia con uno stringente senso di malinconia, in quel modo esistenzialmente straziante così familiare al cinema russo filosofico e ai grandi romanzi del Paese. I primi piani del viso, ottenuti con un formato quadrato incorniciato da bordi curvi in stile vignetta, rendono bene questa essenza, portando l'opera su una soglia solennemente poetica, ben oltre le sue esigenze narrative.
Nell'atto iniziale, Yakha è spesso vista in compagnia della sua compagna di liceo Madina (Madina Akkieva), mentre vagano e talvolta si rotolano in modo infantile sulle colline del loro villaggio alla periferia di Grozny, la capitale. C'è qualcosa di tenero e forse di amoroso nel loro legame, soprattutto da parte di Yakha, un fattore che influisce sui loro atteggiamenti reciproci di fronte alle proposte di corteggiamento e di matrimonio degli uomini locali. In una società che sembra splendidamente matriarcale, l'età piuttosto giovane degli uomini indica sottilmente il periodo storico, che Musaeva non chiarisce inizialmente, poiché si tratta di una terra in cui la cultura e le aspettative sono rimaste uniformi per secoli; siamo verso la fine della Seconda guerra cecena, che ha visto la riammissione del Paese sotto il controllo federale russo, e molti degli uomini più anziani sono morti in quel conflitto. La famiglia della regista è fuggita in quel periodo, quando lei era una ragazzina, e tutta la sua opera è segnata da questo senso di estraneità, con il divario catarticamente colmato semplicemente realizzando questo film, che dà inizio a una cauta resa dei conti con il passato.
Quando la storia raggiunge il suo culmine, con Yakha che tenta di fuggire dal villaggio in modo indipendente, apprendiamo finalmente e in modo devastante come la porta possa chiudersi per un uccello in “gabbia”, per quanto vigorose possano essere le sue ali.
The Cage Is Looking for a Bird è una coproduzione franco-russa di Hype Studios e sokurov.fund. Totem Films si occupa delle vendite internazionali.
(Tradotto dall'inglese)
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