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BERLINALE 2023 Perspektive Deutsches Kino

Recensione: Seven Winters in Tehran

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- BERLINALE 2023: Il premiato documentario di Steffi Niederzoll racconta in modo sensibile e riflessivo la storia di una giovane donna iraniana giustiziata per aver ucciso il suo stupratore

Recensione: Seven Winters in Tehran
Reyhaneh Jabbari in Seven Winters in Tehran

L'attuale ondata di proteste antigovernative in Iran segue la scia di molti sacrifici precedenti che hanno gradualmente spianato la strada a qualche piccolo passo avanti, e uno di questi si è verificato nel 2014, quando Reyhaneh Jabbari è stata giustiziata. Questo è il tema del primo lungometraggio documentario della regista tedesca Steffi Niederzoll, Seven Winters in Tehran [+leggi anche:
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, presentato in anteprima mondiale alla Berlinale e vincitore del Compass-Perspektive-Award per il miglior film nella sezione Perspektive Deutsches Kino e del Peace Film Prize (leggi la news).

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Quando Reyhaneh aveva 19 anni, uccise un uomo che cercava di violentarla. Nei due mesi che precedono il processo, la sua famiglia – la madre Shole, il padre Fereydoon e le due sorelle più giovani, Sharare e Shahrzad – viene a sapere che l'uomo, Morteza Sarbandi, era collegato ai servizi segreti. Quando un giudice ragionevole che aveva messo in dubbio le sue motivazioni viene sostituito da uno studioso islamico ed ex Guardia rivoluzionaria, Reyhaneh viene condannata a morte per impiccagione ai sensi della legge della Sharia per vendetta di sangue. Spetta ora alla famiglia di Sarbandi – cioè al suo figlio maggiore, Jalal – decidere se perdonare Reyhaneh. Non c’è da aspettarsi suspense a riguardo, poiché l’esito è noto; piuttosto, Niederzoll ci offre qualcosa di molto più prezioso: una storia umana profonda, dignitosa e ricca di sfumature di una società conflittuale e violenta.

Il film è stato realizzato con materiali contrabbandati fuori dall'Iran, molti dei quali registrati segretamente dai parenti o da collaboratori anonimi, e interviste con la famiglia. Nel 2017, Shole e Sharare, dopo le minacce ricevute a causa della loro campagna contro la pena di morte, sono fuggite in Germania, e Shahrzad le ha seguite due anni dopo, quindi vengono intervistate davanti alla telecamera. Fereydoon non riesce ancora a ottenere un passaporto, e la sua testimonianza viene resa tramite un video online.

Un altro strato del film è fornito dalle ricostruzioni, ma senza attori. Al loro posto, raffinate panoramiche all'interno di piccoli modelli di dormitori carcerari o dell'aula di tribunale accompagnano le voci fuori campo; una telecamera attraversa lentamente l'appartamento che rappresenta il luogo in cui si è verificato l'incidente. La classica aria ampollosa dei documentari investigativi è sostituita da scelte di montaggio ponderate e pazienti.

La parte più toccante e profonda del film viene dalla stessa Reyhaneh. Alcune delle sue chiamate con la sua famiglia sono state registrate e l'attrice di Holy Spider [+leggi anche:
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Zar Amir Ebrahimi (alla Berlinale anche in Mon pire ennemi [+leggi anche:
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) legge le sue lettere in voice-over. Mentre il disprezzo del sistema legale per l'umanità, i giochi mentali degli inquirenti e i brutali metodi di tortura che impiegano saranno familiari ad alcuni spettatori, la solidarietà tra le donne prigioniere, alimentata in gran parte dallo spirito invincibile di Reyhaneh, è ​​particolarmente toccante.

L'aspetto più inatteso, però, è la comunicazione di Shole con Jalal mentre cerca di convincerlo a perdonare sua figlia. Oltre ad ancorare nella realtà temi e relazioni che conosciamo dalle tragedie greche o da Shakespeare, i loro messaggi di testo e la testimonianza di Shole rivelano l'immagine di una società profondamente conflittuale in cui nulla è bianco o nero. Anche se il nostro istinto ci porta semplicemente a denunciare una cultura violenta nei confronti delle donne e di tutti i suoi membri tranne i più potenti, Shole prova compassione per Jalal, e ci rendiamo conto che anche la sua posizione e le sue azioni sono il risultato della stessa violenza. Sebbene la sua voce anti-regime sia forte e chiara, il film invia anche un messaggio di empatia e perdono, proprio come Reyhaneh ha chiesto alla sua famiglia di perdonare i suoi assassini. Li aveva già perdonati.

Seven Winters in Tehran è una coproduzione della società di Colonia Made in Germany Filmproduktion, e delle francesi Gloria Films e TS Productions. Cercamon detiene i diritti internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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