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BERGAMO 2023

Recensione: The Good Driver

di 

- L’esordio al lungometraggio di finzione del documentarista bulgaro Tonislav Hristov racconta di una personale ricerca di un posto nel mondo sullo sfondo del traffico di immigrati clandestini

Recensione: The Good Driver
Malin Krustev e Gerasim Georgiev in The Good Driver

Dopo una fase che si concentrava soprattutto sulla difficoltà dell’integrazione, la speranza di una contaminazione culturale e l’inquietudine dello sradicamento, oggi gli sconvolgimenti geopolitici stanno spingendo il cinema europeo sulla migrazione a raccontare l’atto stesso dello spostamento nello spazio.  Un migrante che decide di partire abbandona temporaneamente o definitivamente lo spazio dal quale proviene, e intraprende una corsa ad ostacoli che lo fa diventare “straniero” per effetto di un semplice attraversamento. Che è anche un attraversamento di sé stesso. Questo cinema è un genere a sé stante, a cui si attinge anche per creare storie di “traghettamenti personali”. È il caso di The Good Driver, dell’affermato documentarista bulgaro Tonislav Hristov, al suo primo lungometraggio di finzione, ora in concorso al Bergamo Film Meeting.

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Hristov ha firmato nel 2016 il doc The Good Postman [+leggi anche:
recensione
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scheda film
]
, selezionato al Sundance, che affrontava sia la crisi dei rifugiati che lo spopolamento di alcune regioni del Sud-Est europeo, puntando l’obiettivo su un piccolo villaggio bulgaro di 40 abitanti al confine con la Turchia. A Gran Dervent il postino Ivan vorrebbe accogliere nelle case abbandonate i rifugiati siriani che attraversano quel tratto di frontiera, per far sopravvivere il villaggio. The Good Driver è uno spin off finzionale di quel documentario, con uno dei personaggi, Ivan, che fa il tassista di notte nella località balneare di Sabbie d’Oro, sulla costa del Mar Nero, trasportando i turisti che escono ubriachi dai club con nomi improbabili come Malibu, Palm Beach, St. Tropez, Ibiza. Sta mettendo da parte i soldi per ritornare in Finlandia dove ha abbandonato una moglie e un figlio di 18 anni che non vuole più rivedere il padre. Quando le cose si mettono male per un equivoco che lo mette contro i criminali che gestiscono un night club, Ivan torna al suo paesino, senza più un centesimo. E nonostante sia un uomo onesto, si trova coinvolto nel traffico di migranti clandestini.

Se Hristov, che si è stabilito in Finlandia da più di vent’anni, aveva scelto dei toni divertenti con il doc Rules of Single Life (del 2011), in cui quattro uomini bulgari erano in cerca di donne a Helsinki, qui l’unica scena da commedia è quella iniziale, in cui Ivan e gli amici, subito dopo i funerali della madre, prendono il posto di quattro ragazzini che giocavano a calcio davanti al cimitero. Per il resto The Good Driver è un tormentato studio sui rapporti tra i luoghi e gli individui, con un protagonista che vede la sua purezza infrangersi contro un muro di opportunismo, violenza e prevaricazione. La mano del documentarista è visibile dietro la macchina la presa, che rimane incollata al volto afflitto di Malin Krustev, alla costante ricerca di un posto nel mondo. L’inquadratura più bella del film è infatti quella che più si avvicina ad un documentario: una rapida sequenza dei volti di migranti siriani che si avvicendano sul sedile posteriore del taxi di Ivan (la fotografia è di Orlin Ruevski). 

Nella sceneggiatura firmata dal regista con Kaarle Aho e Konstantin Bojanov c’è spazio anche per una riflessione sul classico tema dell’amicizia. Gli unici al fianco del bistrattato protagonista sono Elena (Slava Doytcheva), una giovane donna del villaggio che vuole andarsene in Germania “per sentirsi anonima e finalmente umana” e Ludmil (Gerasim Georgiev), che  accompagnerà ad Helsinki un Ivan in cerca di perdono.

The Good Driver è una produzione della finlandese Making Movies in coproduzione con Soul Food (Bulgaria), Cinenic Film (Svezia) e Film i Väst (Svezia).

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