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FIFDH GINEVRA 2023

Recensione: My Name Is Happy

di 

- Il film di Ayşe Toprak e Nick Read ci racconta l’incredibile storia di Multu, adolescente curda dalla voce d’oro che sopravvive miracolosamente ad un tentato omicidio

Recensione: My Name Is Happy

Sebbene la storia raccontata dalla regista turca Ayşe Toprak e dall’acclamato documentarista britannico Nick Read possa sembrare straordinaria, la violenza che l’accompagna è tristemente banale. Sono infatti numerosissimi i casi di femminicidio che affliggono la società turca corrotta da una logica patriarcale che distrugge tutto ciò che incontra. In competizione nella sezione Documentari di creazione del FIFDH di Ginevra dove ha ricevuto il premio della Giuria dei giovani e dove, nella sezione Industry, ha vinto lo StoryBoard Impact Award, My Name Is Happy [+leggi anche:
intervista: Nick Read e Ayse Toprak
scheda film
]
si concentra sul punto di vista delle vittime mettendo in avanti i danni causati da uno stereotipato e crudele binarismo di genere.

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Multu, la protagonista del film, è un adolescente curda che vive nel sud-est della Turchia. Sebbene sin dalle prime immagini ci si renda conto che nella sua vita c’è stato un prima e un dopo (le prime note che intona non sembrano coincidere con la voce cristallina che aveva più giovane), l’orrore misto a stupore che si prova nello scoprire cosa le è successo davvero è comunque immenso. Multu, come tutti i membri della sua famiglia, ha sempre cantato ma è grazie alla partecipazione ad un celebre talent show che la sua carriera nell’industria musicale sembra concretizzarsi. Tornata a casa per prepararsi alla finale del concorso, il suo sogno si infrange però bruscamente. A mettere un termine ad una storia che sembrava una fiaba non è la strega cattiva bensì un pretendente che Multu ha respinto e che da qualche tempo si era trasformato in vero e proprio stalker.

A documentare il dopo della tragedia sono una serie di immagini dolorose di Multu all’ospedale dove lotta fra la vita e la morte rendendosi conto di aver perso non solo la mobilità ma anche la voce. Quello che si crea è allora una rete di sostegno dove le donne agiscono, si battono, affrontano il quotidiano di petto e gli uomini si nascondono dietro un dolore che non sono autorizzati ad esprimere. È proprio attraverso questa dicotomia di comportamenti che il film mette in avanti una costruzione del genere crudele e assurda dalle conseguenze troppo spesso fatali. Quando l’orrore sembra aver raggiunto il climax, un altro dramma assurdo colpisce Multu e la sua famiglia come a voler sottolineare la difficoltà di uscire da una spirale dell’orrore che si nutre delle sue stesse contraddizioni.

Sebbene My Name Is Happy metta giustamente in avanti il punto di vista delle vittime, le reazioni degli uomini che l’attorniano: il fratello e il padre aiutano a strutturare un discorso che non si limita alla semplicistica opposizione fra “uomini” e “donne”. Fra l’impossibilità di agire dovuta ad un dolore imprigionato nel cuore del padre e l’espressione di sdegno del fratello di fronte ad una differenza di genere che non accetta, il film mostra che l’unica strada possibile per uscire dall’orrore è il dialogo fra l’oppresso e l’oppressore. Lottando per poter nuovamente cantare, Multu scopre di avere un’altra voce ed è con questa che si appresta a combattere.

My Name Is Happy è prodotto da October Films e coprodotto da Red Zed Films e Horovel Films. Autlook Filmsales si occupa delle vendite all’internazionale.

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