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CPH:DOX 2023

Recensione: Vintersaga

di 

- Carl Olsson raffigura un caleidoscopio sociale della Svezia contemporanea con laconicità scandinava e ci dimostra che il modo di porsi davanti ad un obiettivo è ormai uguale in tutto il mondo

Recensione: Vintersaga

Quello che colpisce subito di Vintersaga [+leggi anche:
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- nel concorso internazionale Dox:Award del CPH:DOX - è l’ambizione dei suoi presupposti: catturare la Svezia contemporanea nella sua diversità e nelle sue contraddizioni, come si legge nella logline. Il documentario del regista Carl Olsson è organizzato in 24 distinte scene intorno ai versi dell'omonima canzone del 1984 del musicista svedese Ted Ström. Solitamente i documentari si concentrano su un’unico tema per sviscerarlo al meglio, con una visione se possibile originale. Qui abbiamo una sequenza di inquadrature fisse che procede in modo lineare, e se non fosse un film sarebbe una striscia a fumetti che rappresenta la geografia di un Paese.

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Difficile elencare tutte le 24 “vignette”: alcune rimangono più impresse, alcune durano pochi secondi, altre scivolano via e si insinuano nella mente in modo quasi subliminale, quasi tutte sono ipnotiche, grazie anche alla fotografia di Mathias Døcker, che incornicia lo spazio scenico con tollerante rigore e una laconicità tutta scandinava. Ma come non citare il gruppetto di uomini che si diverte a sgommare con una BMW truccata in uno spazio industriale; la coppia anziana che fa birdwatching su uno scoglio sotto un faro e con un po’ di fortuna scorge un piovanello violetto; il gruppo di nostalgici che si riunisce per festeggiare sua maestà il re con cena e inno reale (“Dal profondo dei cuori svedesi…”); due fratelli che lavorano in un ristorante di Johanneshov a Stoccolma e discutono nel vicolo durante la pausa sigaretta; due giovani donne in auto che provano il Rituals di Sephora; due addetti alla dogana che si congelano su una strada buia; due tizi che non si vedono da trent’anni e bevono birra e uno dice: “scusa se ti ho bullizzato a 8 anni”; una coppia di amanti che beve e parla di matrimonio, e che ritroviamo poco dopo a fare sesso in una stanza d’albergo; due donne anziane per strada che elencano chi è morto quella settimana (“Gunnar… aveva più di 90 anni”), l’equipaggio del ferry “Lasse Maja” a Marstrand che discute di dove andare a pranzo. Rapidi schizzi, in una manciata di secondi, un caleidoscopio sociale con un elemento in comune: il freddo. Ad un certo punto succede qualcosa di lievemente spiazzante: prima un uomo col cane posa davanti ad un muro con il poster dello stesso film che stiamo vedendo, poi due ragazze chiacchierano davanti a quello che sembrerebbe il piccolo cine-club Centrumbio di Arjeplog e successivamente all’interno vediamo che proiettano il documentario nel documentario, per l’esattezza le due ragazze in scooter che poco prima discutevano del 5% dello spazio esplorato dall’uomo. Come in un film di David Lynch o lo specchio convesso nel Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan van Eyck.

Alla fine, la domanda è: quanto di ciò che abbiamo visto racconta un Paese specifico o piuttosto i confini della realtà sono sempre più sfumati e sconfinano nell’immaginario globale? Non è forse vero che due giovani donne possono parlare di profumi nello stesso modo a Stoccolma e a Marrakech? O dei ragazzi inneggiare alla propria squadra a Liverpool o discutere di cosa fare con 10 milioni (di corone, euro, dollari)? Forse proprio questo ci rivela il documentario. Il modo di percepire noi stessi, di porsi davanti ad un obiettivo, ad un osservatore neutrale (anche se un documentarista non sarà mai neutrale) è cambiato dovunque e allo stesso modo e nessuno è più innocente. Perché sono passati quasi 60 anni dai Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini.

Vintersaga è prodotto da Ginestra Film in coproduzione con Film i Väst, Filmpool Nord, Final Cut for Real. Le vendite internazionali sono curate da CAT&Docs.

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