Recensione: Le Jeune imam
- Kim Chapiron affronta il tema dell'Islam in Francia da un punto di vista intimo e firma un film toccante sulla complessità dei sentimenti tra un figlio e sua madre

"Le azioni valgono secondo le intenzioni ed ogni uomo avrà secondo il suo intento”. Facendo eco alla riflessione di uno dei personaggi del suo nuovo film, Le Jeune imam [+leggi anche:
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scheda film], distribuito il 26 aprile nelle sale francesi da Le Pacte, Kim Chapiron (ha esordito con Sheitan [+leggi anche:
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scheda film] a Toronto nel 2005, miglior regista al Tribeca nel 2010 con Dog Pound [+leggi anche:
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scheda film] e due nomination per i suoi interpreti ai Lumières 2015 con La crème de la crème [+leggi anche:
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scheda film]) affronta il tema dell'Islam in Francia con idee perfettamente chiare e in controtendenza rispetto ai cliché cinematografici sull’argomento. Qui non c'è radicalismo o deriva terroristica, non c'è scontro di culture con i suoi effetti a valanga, non c'è amore contrastato dalle tradizioni, ma solo l'espressione ordinaria e pacifica di una pratica religiosa come un'altra in una Francia plurale. Un'ambientazione descritta con precisione dal regista per meglio sviluppare il cuore del suo film: il rapporto tormentato tra un figlio e sua madre.
Quando madame Diallo (Hady Berthé), che cresce da sola i suoi tre figli a Montfermeil, un sobborgo parigino, scopre che il suo giovane figlio Ali (di una decina d’anni) ha rubato gran parte del denaro raccolto per la pensione di un vicino, scoppia la tragedia, e la vergogna. "Ha una cattiva influenza. Non voglio più vederlo". Così lo porta in Mali, suo paese natale, e lo affida alla madrasa dello sceicco Boubakar (Issaka Sawadogo). Per Ali la separazione e l'esilio sono uno shock totale. Isolato ("non sei di qui, sei nato in Francia"), devastato ("mia madre è morta"), ruba di nuovo ma lo sceicco lo protegge ("figlio mio, non appartieni più al male, ma al bene") e riorienta la sua vita.
Dieci anni dopo, tornato in famiglia, Ali (Abdulah Sissoko, una rivelazione), deve trovare il suo posto nella società e vuole riconquistare la stima della madre. Il suo talento nell'arte del canto e il sostegno della nuova generazione lo rendono il nuovo imam del quartiere. Dal numero di visualizzazioni sui social network alle prediche che attirano piccole folle, è sempre più coinvolto, ed è anche deciso a organizzare pellegrinaggi alla Mecca che tutti possano permettersi. Ma è facile che le cose vadano a rotoli da un giorno all’altro...
Film ambivalente, Le Jeune imam (la cui sceneggiatura è stata scritta dal regista con Ladj Ly, Ramzi Ben Sliman e Dominique Baumard) esplora in modo dinamico le sfumature e le ambivalenze dell'amore, sia esso materno o filiale, religioso o insito nel narcisismo alimentato dalla stima degli altri. Attraverso una storia semplice, una tragedia ordinaria (il cui prologo disinnesca parzialmente la suspense), il film mette a nudo le ferite profonde che nascono nell'infanzia e che portano a una commovente ma ingenua ricerca di riconoscimento, a una speranza inconscia di segni d'amore. Ma come spesso accade, è piuttosto nella difficoltà che emerge la verità. Una parabola (che può essere interpretata anche su scala più ampia) che mette in luce anche la realtà molto prosaica della pratica religiosa di sei milioni di musulmani in Francia, spesso oscurata dai media e dal cinema.
Le jeune imam è prodotto da Srab Films, Lyly Films e Septième Ciel, in coproduzione con Eskwad, Kallouche Cinéma, Les Films Velvet e Rectangle Productions. Le vendite internazionali sono affidate a Goodfellas.
(Tradotto dal francese)
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