email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

VISIONS DU RÉEL 2023

Recensione: Dreamers

di 

- Il terzo lungometraggio di Stéphanie Barbey e Luc Peter tenta di ridare dignità a due milioni e mezzo di americani, i cosiddetti “dreamers"

Recensione: Dreamers

Sembra ironico chiamare “dreamers” coloro a cui il sogno americano è stato negato. A loro, arrivati clandestinamente negli Stati Uniti quand’erano ancora molto piccoli, che hanno vissuto un’infanzia americana apparentemente “normale”, che lavorano e pagano le tasse, non resta infatti che sognare di essere, un giorno, considerati cittadini come gli altri. È proprio a loro, cittadini e cittadine dell’ombra, esseri spaventati e silenziosi che sopravvivono senza potersi concedere il lusso di vivere davvero, che il duo di registi svizzeri formato da Stéphanie Barbey e Luc Peter si interessano in Dreamers, in competizione nella sezione Burning Lights di Visions du réel.

La chiave d’accesso a questo mondo parallelo è Carlos, arrivato a Chicago dal Messico con i suoi genitori e i suoi tre fratelli nel 1993 all’età di nove anni. Da allora, non ha mai più messo piede nella sua città natale. Il motivo è che non possiede nessun documento che lo riconosca in quanto cittadino statunitense e il solo uscire dall’Illinois rappresenterebbe per lui un rischio enorme, quello di perdere tutto e non poter più tornare alla vita che conosce sin da bambino. Carlos è allora costretto a vivere in una sorta di limbo, fra la paura di essere deportato, come è successo a suo fratello Jorge a causa di un banale controllo di polizia, e il naturale bisogno di sentirsi libero: socializzare, divertirsi, anche sbagliare.

Il film è girato interamente in bianco e nero, una scelta che amplifica ancora maggiormente il distacco rispetto ad una realtà famigliare e luminosa che per molti non è accessibile. Il film è ritmato dalla quotidianità di Carlos il cui passato appare a sprazzi raccontato da lui stesso attraverso una voce fuori campo, dalle fotografie mostrate da sua mamma e sua nonna e dalle discussioni intime, pudiche fra i membri della sua famiglia. La voce di Carlos, quasi sussurrata, si trasforma in crudele e rassegnata cantilena. Sin dalle prime parole pronunciate: “Sono Carlos e sono un ‘dreamer’”, ci rendiamo conto della rassegnazione che una tale esistenza impone. In quanti sarebbero capaci di vivere nella paura costante di scomparire, dovendo sempre essere i migliori, lavorando tre volte più degli altri nella speranza di accedere alla “normalità”? Il papà del protagonista non ce l’ha fatta, non ha più saputo contenere la rabbia e la frustrazione e le ha riversate su sua moglie e i suoi figli.

Siccome le istituzioni non sono disposte ad aprirsi al dialogo, a riconoscere che questi due milioni e mezzo di cittadini partecipano concretamente alla costruzione del “sogno americano”, sono i registi che tentano di ridargli voce e corpo. Discretamente, senza mai invadere uno spazio vitale fragile, quasi etereo, la telecamera scruta da vicino i volti tesi dei suoi protagonisti, cattura i gesti involontari che denotano uno stress e un dolore difficili da contenere. Incapace di esprimere quello che prova di fronte ad una situazione assurda, Freddy, il figlio adolescente del fratello di Carlos, deportato quindici anni prima, non smette allora di toccarsi nervosamente i capelli cercando, forse, metaforicamente, di sistemare qualcosa che non può esserlo. Lo zoo visitato da Carlos con sua nonna, si trasforma anche lui in specchio deformante di una realtà terribilmente umana.

Seppur solo per un istante, il cinema riesce a ridare a Carlos e a tutti gli altri dreamers anonimi che popolano le città degli Stati Uniti, lo spazio che meritano.

Dreamers è prodotto da Intermezzo Films e Dirk Manthey Film insieme alla RTS Radio Télévision Suisse, SWR Südwestrundfunk e ARTE. Lightdox si occupa delle vendite all’internazionale.

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy