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HOT DOCS 2023

Recensione: Sundial

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- Il documentario della regista estone Liis Nimik è un film primordiale e onirico che sovverte le aspettative del pubblico ritraendo lo stato di natura e tutto ciò che è connesso al suo interno

Recensione: Sundial

Dopo aver diretto diversi corti, il primo lungometraggio documentario da regista dell'acclamata montatrice e produttrice estone Liis Nimik, Sundial, è stato proiettato a Hot Docs nell'ambito del programma The Changing Face of Europe di European Film Promotion, dopo essere stato presentato in anteprima mondiale al Concorso internazionale mediometraggi e cortometraggi di Visions du Réel. Inizia come un film criptico e meditativo che si prende il suo tempo per rivelare le sue idee e intenzioni. Ma probabilmente, per un documentario come questo, ogni spettatore avrà la sua interpretazione personale.

Il film consiste quasi esclusivamente di riprese statiche girate in 16 mm, per mano del direttore della fotografia Erik Põllumaa. È inverno in un villaggio estone e vediamo alcune persone che raccolgono legna, escono con le loro famiglie o siedono in casa da sole. La scena di apertura mostra un giovane che fa una pira con grossi rami, con il fuoco in primo piano nell'inquadratura, che crepita grazie al sound design di Israel Bañuelos. Il suo lavoro è centrale nel film, proprio come gli elementi naturali di base o il desiderio delle persone di fare musica. Diversi tipi di droni – melodici, ventosi o fischianti – accompagnano varie scene di paesaggi, foreste, alberi e un lago blu scuro, mescolandosi con i suoni della natura.

Si vede un uomo dai capelli lunghi seduto con i suoi tre bambini piccoli, mentre gioca a scacchi con uno di loro. La ragazza, che probabilmente è la secondogenita, sta cantando piano e l'uomo corregge la sua ultima nota. Più tardi, lo si vedrà suonare quella che sembra una piccola tuba, mentre la mamma aiuta la figlia con i compiti. I tre bambini curiosi verranno visti più volte mentre esplorano l'ambiente circostante, ma Nimik non tratta né loro né altri personaggi come protagonisti. Forse sarebbe più appropriato chiamarli semplicemente "umani".

C'è un uomo che suona una chitarra elettrica in quello che sembra essere il suo capannone o garage, con caldaie dell'era sovietica che riscaldano il posto. Una signora anziana e solitaria è quasi sempre seduta dentro casa, il viso illuminato dal bagliore del fuoco. Un uomo consegna legna da ardere a un condominio, e alcune battute che scambia con un inquilino fuori campo è probabilmente il più vivace tra i rari dialoghi del film.

E poi ci sono gli animali: pecore, mucche, cani, gatti e un cavallo solitario. Sono presenti tanto quanto gli esseri umani nel film, ma lo spettatore cercherà naturalmente di connettere le varie persone per scoprire cosa hanno in comune o quali differenze esistono tra loro, allenati come sono i nostri cervelli a cercare narrazioni. Ma qui sembra non esserci alcuna comunità, fino a una scena nell'ultimo terzo del film, dove improvvisamente vediamo un folto gruppo stipato in una stanza, che discute ad alta voce di un'ambigua "unione di due comunità".

Si tende anche a ragionare in termini di unità di tempo e di luogo, e all'inizio non sembra chiaro che tipo di villaggio sia: ci sono molte case isolate e sembra che nessuno abbia un vicino, mentre da un'altra parte ci sono i condomini. Ma i titoli di coda ci informano che il documentario è stato girato in aree rurali in diverse parti del paese.

Sundial è un'esperienza davvero cinematografica, un film di immagini naturali che acquistano gravità e profondità attraverso la sgranata fotografia del 16 mm. È primordiale e onirico, sovvertendo le aspettative degli spettatori in modo sottile. Ma ciò che in realtà finisce per fare è piuttosto radicale, conclusione alla quale si può arrivare solo dopo aver lasciato il cinema e averci ripensato. Forse merita persino una seconda visione.

Sundial è prodotto dall’estone Klara Films OÜ, e Taskovski Films detiene i diritti internazionali.

(Tradotto dall'inglese)

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