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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: La quattordicesima domenica del tempo ordinario

di 

- Pupi Avati torna nel terreno della nostalgia con il suo nuovo film, che dichiara essere il suo più sincero e autobiografico, su un amore assoluto e i sogni che svaniscono

Recensione: La quattordicesima domenica del tempo ordinario
Gabriele Lavia e Edwige Fenech in La quattordicesima domenica del tempo ordinario

Il tempo ordinario, nel calendario liturgico della Chiesa cattolica, è il periodo che intercorre tra la Quaresima e l’Avvento, abbraccia la primavera e l’estate, ed è la stagione in cui solitamente ci si sposa. Suona criptico il titolo del nuovo lungometraggio di Pupi Avati, da oggi in circa 300 sale italiane distribuito da Vision Distribution, ma in realtà basta fare due conti: La quattordicesima domenica del tempo ordinario – lo ha spiegato lui stesso alla presentazione del film a Roma – indica il 24 gennaio del 1964, giorno il cui il veterano cineasta bolognese (oggi 84 anni e più di 40 film per il cinema al suo attivo) sposò “la più bella ragazza di Bologna”, dopo averla rincorsa per quattro anni. Ed è proprio attorno a un amore assoluto, prima idilliaco e poi sofferto, e ai sogni che svaniscono, che ruota l’ultima fatica dell’instancabile regista, che avevamo lasciato nemmeno un anno fa alle prese con Dante [+leggi anche:
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, e che qui torna nel terreno che gli è più congeniale: quello della nostalgia.

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Il film si apre con un’immagine poetica, in bianco e nero, di un vecchio chiosco di gelati attorniato da bambini sorridenti, ciascuno col suo cono in mano. È la Bologna del secolo scorso, ed è in quello stesso chiosco – “dove le cose che sognavi, accadevano” – che Marzio conoscerà Sandra, versandole un frappè addosso. La storia si svolge tra gli anni ’70 e i giorni nostri, prima quando i giovani Marzio e Sandra si amano e coltivano i loro sogni – lui quello della musica, insieme al suo migliore amico Samuele, e lei quello della moda, come indossatrice – e poi quando, dopo molti anni, si rincontrano a un funerale e tracciano un bilancio dei loro fallimenti.

Avati e suo fratello Antonio, produttore, giocano ancora una volta con il cast e compongono per questo film un ensemble che definiscono “un mix rischioso ed eccitante”, accostando professionisti, vecchie glorie, volti che non ti aspetti ed esordi: il cantante della band Lo Stato Sociale Lodo Guenzi (già visto in Est - Dittatura Last Minute [+leggi anche:
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) e l’attore di teatro classico Gabriele Lavia incarnano Marzio, rispettivamente da giovane e da vecchio; la debuttante Camilla Ciraolo e la reginetta delle commedie sexy degli anni ’70-80 Edwige Fenech sono Sandra, ieri e oggi; l’amico Samuele, che chiude il triangolo, ha i tratti del giovane Nick Russo e del più attempato Massimo Lopez, noto attore comico qui in un’inedita veste drammatica.

“Le cose belle son volate via”, ripete la canzone-cavallo di battaglia che i giovani Marzio e Samuele, che formano il duo I Leggenda, sognano di portare al Festival di Sanremo, prima che il più concreto Samuele molli tutto e accetti un posto fisso in banca, mentre Marzio continuerà caparbio a inseguire l’illusione della musica, diventando un rocker agée, malinconico e fallito che si riduce a sponsorizzare prodotti vari pur di ottenere una comparsata in tv con la sua chitarra.

Tra gioie e dolori, rammarico e felicità, su un sostrato di profonda amarezza e con picchi di voluto patetismo, questo è il film che Avati dichiara essere il suo più sincero e autobiografico. “Siamo tutti falliti rispetto ai nostri sogni”, afferma il regista che da giovane tentò una carriera come clarinettista jazz. Quanto all’amore, uno crede che sia una garanzia di felicità eterna, e invece “la vita prima o poi ti risveglia”.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario è prodotto da Duea Film e Minerva Pictures, con Vision Distribution e in collaborazione con Sky.

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