CANNES 2023 Semaine de la Critique
Recensione: Il pleut dans la maison
- CANNES 2023: Paloma Sermon-Daï passa alla finzione con questa storia di un fratello e una sorella alle prese con l'ultima estate della loro infanzia, tra spensieratezza e determinismo sociale
Esiste un'altezza massima del cielo in cui siamo bloccati? Questa domanda, posta con l'ingenuità dei suoi 15 anni da Donovan, il migliore amico di Makenzy, risuona a lungo dopo l'uscita degli spettatori dalla proiezione del primo lungometraggio di Paloma Sermon-Daï, Il pleut dans la maison [+leggi anche:
trailer
intervista: Paloma Sermon-Daï
scheda film], selezionato in concorso alla sessantaduesima Semaine de la Critique del settantaseiesima edizione del Festival di Cannes. Makenzy, 15 anni, e Purdey, 17 anni, vivono da soli, o quasi, nella casa lasciata loro dalla nonna. Il padre è assente e la madre se n'è andata. Nonostante possano contare l'uno sull'altro, devono comunque trovare un modo per affrontare il mondo. Durante un'estate torrida, dovranno dire addio a ciò che resta della loro infanzia.
Tra due gite al lago, dove i vortici dell'acqua e i raggi del sole sembrano regalare loro il poco tempo spensierato che gli è concesso, affrontano una realtà la cui crudezza è difficile da gestire. Mentre Makenzy vive di piccoli espedienti per migliorare la sua vita quotidiana, Purdey rinuncia gradualmente alle sue ambizioni personali per compensare le mancanze dei genitori e per garantire il suo futuro e quello del fratello occupandosi delle necessità più urgenti: trovare una casa e qualcosa da mangiare. I due, attraverso vari incontri, dal fidanzato ambizioso alla giovane vacanziera insolentemente ricca e all'agente immobiliare che fa in modo di rimettere Purdey al suo posto, prendono coscienza del tetto di cristallo che impedisce loro di puntare alla luna.
Nel suo film Paloma Sermon-Daï ritrae un'estate fatta di piccole cose che costituiscono un grande insieme. La giovane regista si è fatta conoscere con Petit Samedi, un documentario molto personale (si interrogava sul peso della tossicodipendenza nell'intenso rapporto tra suo fratello e sua madre) e profondamente radicato nel suo territorio. Ritroviamo questo ancoraggio, così come la sua capacità di avvicinarsi all'intimità con vero pudore ma senza pretese, in questo film chiaroscurale la cui interpretazione è affidata a veri fratelli e sorelle di sua conoscenza (Purdey - sua nipote - e Makenzy Lombet, sorprendenti nella loro presenza e naturalezza), portandoli con sé in un forte racconto alimentato dalla realtà. La regista riesce a trasmettere la vertiginosa precarietà che aleggia sull'esistenza dei suoi protagonisti senza mai spettacolarizzarla, concentrandosi sui loro dubbi e sulle loro aspirazioni.
Il torpore che il lavoro sull'immagine (concepito con il direttore della fotografia Frédéric Noirhomme) ci fa sentire sembra ricadere a poco a poco sui due giovani, il cui rapporto si allontana anche se vorrebbero venirsi incontro. La casa, che sta cadendo a pezzi e di cui cercano invano di riempire le crepe, rappresenta sia il loro patrimonio e tutti i loro punti di riferimento, ma anche il peso di un'assegnazione sociale che ostacola i loro impulsi. Mentre l'infanzia è ancora presente sui loro volti, vengono proiettati in una vita adulta che lascia poco spazio alla speranza. A meno che, magari, il legame indissolubile che li unisce non li risollevi.
Il pleut dans la maison è prodotto da Michigan Films (Belgio), che aveva già accompagnato la giovane regista per il suo pluripremiato documentario, e coprodotto da Kidam (Francia) e Visualantics (Belgio). Le vendite internazionali saranno gestite da Heretic.
(Tradotto dal francese da Alessandro Luchetti)
Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.