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TRANSILVANIA 2023

Recensione: Boss

di 

- Il secondo lungometraggio del regista rumeno Bogdan Mirica è incentrato su un personaggio tormentato, diviso tra i suoi affari criminali segreti e la sua disfunzionale relazione sentimentale

Recensione: Boss
Ioana Bugarin e Laurentiu Banescu in Boss

Dopo aver giocato con le norme del genere western all'interno di un contesto est-europeo nel suo fortunato esordio Dogs [+leggi anche:
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(2016), approdato direttamente nella sezione Un Certain Regard di Cannes, il recente Boss di Bogdan Mirica, presentato nel concorso Romanian Days del Transilvania International Film Festival, stravolge gli stilemi del cinema noir collocando un protagonista marginale nel trasandato ambiente urbano post-comunista di Bucarest. Naturalmente, i generi classici del cinema nordamericano difficilmente si adattano a un contesto orientale, e quindi ciò che in Boss spicca, più della trama, è l'ambiente locale come sfondo.  

Un taciturno autista di ambulanze senza nome (Laurentiu Banescu) è coinvolto in una rapina a mano armata. Durante l'azione, colpisce accidentalmente una donna che potrebbe riconoscerlo. Spaventato e colpevole, cerca di andare a trovarla in ospedale, mettendosi così in pericolo, mentre vaga per la città nel tentativo di scoprire di più sui suoi compagni di rapina e infine sul capo dell'intera operazione. Sulla superficie apparentemente "normale" della sua vita compaiono la sua giovane e bella fidanzata Carla (Ioana Bugarin) in scene violente e intense, e suo padre con cui discute in modo burbero – un chiaro segno della loro reciproca insoddisfazione. Il finale ambiguo e onirico è forse l'unico episodio che porta un po' di speranza nella cupa atmosfera generale di Boss.

L'aspetto crime della sceneggiatura, scritta dallo stesso Mirica, suggerisce un commento sulla realtà rumena attuale: sullo sfondo di una città visibilmente impoverita, si potrebbe ipotizzare che l'autista dell'ambulanza sia spinto a delinquere a causa del basso salario e della generale mancanza di opportunità, in un contesto di corruzione pervasiva sottilmente rivelata da alcuni dettagli narrativi. Se questo aspetto può sembrare relativamente giustificato e in qualche modo interessante, l'irrazionale svolgimento della relazione troppo drammatica del protagonista con Carla dà i nervi. Il suo traballante personaggio, a metà tra la femme fatale e una cerva indifesa che implora protezione, è l'epitome dei sogni erotici maschili immaturi. Non sarebbe così male, se non fosse per il tono insistentemente serio dei dialoghi tra i due. Scambi di battute come "Perché sei seduta al buio? - Sono un angelo delle tenebre" provocano una risata spontanea, ma le espressioni facciali teatrali degli attori, le lunghe riprese degli sguardi contemplativi e la colonna sonora sopra le righe suggeriscono inequivocabilmente che l'elemento comico non rientra nel concept registico. Questa sensazione è rafforzata anche dalla macchina da presa dinamica del direttore della fotografia Andrei Butica (Dogs, Everybody in Our Family [+leggi anche:
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), che cerca di creare una sensazione di ansia con angolazioni acrobatiche nei momenti di suspense. Tuttavia, l'inadeguatezza generale della sceneggiatura annulla la tensione tipica del genere poliziesco e, nonostante l'epilogo edificante, l'esperienza complessiva risulta piuttosto noiosa, anche a causa della lunga durata del film.

Boss è una coproduzione tra la rumena 42 Km Film, la lussemburghese Les Films Fauves e la svedese Filmgate Films

(Tradotto dall'inglese)

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