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FILM / RECENSIONI Belgio

Recensione: Broken View

di 

- In un film-saggio denso e affascinante Hannes Verhoustraete affronta il colonialismo belga e le tecniche di produzione delle immagini che hanno veicolato il consenso nel progetto coloniale

Recensione: Broken View

Si intitola Broken View [+leggi anche:
intervista: Hannes Verhoustraete
scheda film
]
il secondo film di Hannes Verhoustraete presentato alla 59a Mostra Internazionale del Nuovo cinema di Pesaro. Un titolo che tiene insieme l’urgenza di interrogare le immagini create dal colonialismo belga e la denuncia del loro uso perverso.

Da questa doppia indagine partono due traiettorie speculari che ricostruiscono la storia della lanterna magica, prima nel Belgio di fine Ottocento e in seguito nei crimini coloniali compiuti dallo stato belga in Congo, in un film-saggio che mescola antropologia della religione, storia del cinema primitivo e riflessione teorica sull’utilizzo dei mass-media. Broken View infatti non si allontana dall’ambiguità e dal fascino delle fotografie colorate a mano che sono servite a impostare il discorso razzista dell’orrore coloniale belga, ma ne coglie l’essenza diabolica e ne restituisce la complessità stordente, in un accumulo di citazioni e una sovraesposizione di immagini e di testi che ne fanno al tempo stesso sia un saggio denso e doloroso che un film esteticamente esaltante. L’enorme quantità di materiale proveniente dai vari archivi sparsi per il Belgio viene analizzata con cura dalla voce narrante di Verhoustraete in una ricerca filosofica che se da un lato ammalia, da un lato inorridisce, quando accompagna le immagini più violente di un passato che continua a tornare sotto forma di fantasma.

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Nonostante questa ambiguità inerente al mezzo, la posizione dell’autore nei confronti della storia patria è chiara e la sua riflessione innesca un cortocircuito che induce a una dialettica necessaria a fare i conti con un tempo in cui il proto-cinema era un'arma tanto potente quanto il fucile. Una dialettica che illumina con intensità il discorso post-colonialista relativo alla fabbricazione di materiale filmico, e che ha come importante predecessore il lavoro sulle immagini di Luca Comerio che è stato Dal polo all'equatore di Angela Ricci-Lucchi e Yervant Gianikian.

Il percorso tortuoso di Broken View passa però anche da materiale contemporaneo, in particolare dalle manifestazioni popolari della processione del Santo Sangue a Bruges, nelle quali persiste la tradizione del black-face. Verhoustraete infatti suggerisce l’idea che anche la continuità iconografica nel cristianesimo concorra a preservare una società razzista, nel cuore di un’Europa che stenta a liberarsi dalla nostalgia coloniale. Il tono del film però non è quello della denuncia e dell’indignazione. L’autore si serve della storia delle immagini per descrivere, per indagare, per fare spazio a un discorso che proceda in modo alterno, che sia pedagogico e privo di paternalismo. Un discorso che abbia come principio il fatto che non si possa smantellare lo sguardo coloniale con gli stessi strumenti e linguaggi con i quali è stato costruito.

L’opera di riflessione post-coloniale era già stata intrapresa dal regista e studioso belga, seppur con forme diverse, col suo primo film Un pays plus beau qu’avant (2019), che trattava della diaspora congolese a Bruxelles. In Broken View però quest’opera diventa matura, colta, pulsante. E paradossalmente dimostra che il cinema, se fatto bene, può essere anche uno strumento di emancipazione, che sia pensiero vivo, che eviti, secondo una delle tante citazioni del film, che “l’illuminismo si trasformi in mito”.

Broken View è stato prodotto da Accattone Films.

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