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KARLOVY VARY 2023 Proxima

Recensione: Say God Bye

di 

- Il regista svizzero Thomas Imbach parte in pellegrinaggio alla ricerca del suo mito, Jean-Luc Godard, e il risultato è un road movie al contempo giocoso e profondo

Recensione: Say God Bye
David Charap e Thomas Imbach in Say God Bye

Presentato in prima mondiale al 57. Festival di Karlovy Vary nella sezione Proxima, Say God Bye [+leggi anche:
trailer
intervista: Thomas Imbach
scheda film
]
di Thomas Imbach rende omaggio a colui che è considerato da molti come il “dio del cinema”. Eppure dietro questa prima intenzione il film si apre a molteplici riflessioni sulla carriera di Imbach stesso ma anche sulla sua vita e su ciò che il cinema ha rappresentato per lui. Jean-Luc Godard si trasforma allora in perno attorno al quale gravitano storie parallele: quella dei genitori di Imbach, avventurieri e liberi, ma anche quelle, frammentate, delle persone che incontra durante il suo cammino, senza dimenticare l’avventura stessa che il viaggio intrapreso rappresenta, di come questo influenza le dinamiche all’interno della crew, ma soprattutto di come il cinema influenza la nostra percezione del mondo.

Concretamente, quello che Imbach decide di fare è un pellegrinaggio in onore del suo mentore ormai anziano, un pellegrinaggio che inizia a Zurigo, dove vive, per concludersi poi a Rolle, città svizzera dove Godard risiede da moltissimi anni. Il suo desiderio profondo è quello di convincerlo a girare con lui, un sogno che sembra impossibile da realizzare, anche se sappiamo molto bene che quando si tratta di Godard tutto può succedere.

Say God Bye si trasforma allora in un vero e proprio road movie il cui ritmo è scandito dalle varie tappe del viaggio documentate in modo diaristico attraverso immagini girate su iPhone e in 35 mm. Come in una sorta di parodica via crucis, Imbach non nasconde nulla delle difficoltà incontrate sul suo cammino: dalle immancabili vesciche ai piedi fino ai dolori alla schiena causati dal pesante sacco che contiene per lo più il materiale filmico e che cerca di lenire grazie ai consigli del suo responsabile del suono David Charap, alias Sancho Panza, trasformatosi per l’occasione in paziente istruttore di fitness.

La storia presente del viaggio, le immagini che raccoglie di una Svizzera tranquilla e rigogliosa, si intrecciano con quelle della sua vita passata e con spezzoni dei suoi film che dialogano a loro volta con frammenti di film di Godard e frasi che si trasformano in manifesto. Il tutto coabita in modo inaspettatamente armonioso tramite richiami visivi ma anche sonori e una necessaria dose di humour che rimette la gravità del pellegrinaggio in prospettiva.

Say God Bye è una vera e propria riflessione sul cinema, sul bisogno di catturare in immagini una realtà fatalmente sfuggente, effimera e infinitamente malleabile. Non sono però solo le perle di saggezza di Godard a guidarci lungo questa riflessione, ma anche le testimonianze anonime delle persone che il regista incontra durante il suo cammino: dall’appassionato di droni, fino agli adepti di bird watching e ai registi in erba come la persona che, quasi emozionata, gli espone i benefici del Gimbal. Tutti vorremmo poter catturare un pezzo di realtà ma come direbbe Godard il visibile non basta “se non si filma che il visibile, si fa un telefilm”.

Quando infine Imbach arriva davanti alla porta del suo mentore, l’eccitazione del viaggio e le innumerevoli domande formulate sotto voce sembrano improvvisamente svanire per lasciare il posto alla realtà di un uomo anziano e alla pudica emozione di chi, forse, si è avvicinato troppo al sole.

Say God Bye è prodotto da Okofilm Productions.

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