Recensione: Landshaft
- Il regista tedesco Daniel Kötter cerca di cogliere il quadro più ampio del conflitto armeno-azero in corso

Più specificamente della parola inglese "landscape", il termine tedesco Landschaft si riferisce al contesto culturale di un'area che la distingue da altre zone. Non stupisce quindi che il regista tedesco Daniel Kötter abbia scelto proprio questa parola, o una sua leggera variazione, per il titolo del suo documentario visivamente mozzafiato Landshaft [+leggi anche:
intervista: Daniel Kötter
scheda film], che ha aperto il concorso Panorama regionale del Festival Golden Apricot. Oltre a catturare l'agonia e l'estasi della drammatica geografia che si trova a metà strada tra la miniera d'oro di Sotk e il lago Sevan, il film traccia anche un ritratto generale degli insediamenti e dei loro abitanti – siano essi persone o animali – che sono destinati a vivere nella zona più pericolosa del conflitto militare tra Armenia e Azerbaigian. Il punto di vista neutrale dell'autore, anche se sottolineato da un approccio di ripresa altamente soggettivo, segue il flusso della vita e le figure da lontano, ma soprattutto registra le conversazioni che svelano dettagli sul modo in cui le persone di entrambe le parti del conflitto si relazionano tra loro in questa complessa situazione.
Dopo una scena iniziale con un motoscafo che solca le acque del lago, si apre una sequenza in cui due uomini discutono dei progetti per il prossimo futuro accanto a una emblematica Zhiguli sovietica: vaghe prospettive di lavoro che potrebbero riguardare la miniera d'oro, il commercio di patate o l'arruolamento nell'esercito. Vediamo le loro piccole figure da dietro e da lontano, e inizialmente si potrebbe considerare questa sequenza iniziale come una graduale introduzione ai personaggi principali. Tuttavia, non vediamo quasi mai i loro volti, anche se sono loro a dominare l'azione del film, guidando su strade fangose a bordo della sferragliante Zhiguli. Quando, in un secondo momento, la macchina da presa si sposta nell'ambiente interno e più intimo delle abitazioni dei minatori, anche in questo caso i volti delle persone non vengono ritratti, ma partecipano all'orchestrazione generale dell'ambiente con le loro voci e i loro gesti fisici. Il tema principale trattato è la miniera e le relazioni tra armeni, azeri e russi che vi lavorano, mentre il cambiamento delle condizioni di lavoro rispecchia il conflitto. Senza che soldati o armi entrino necessariamente nell'inquadratura, il discorso sulla guerra impregna inevitabilmente l'atmosfera attraverso le voci alla radio e le conversazioni private: questo contesto terrificante e militarizzato è presente e onnicomprensivo, e influisce sulla vita quotidiana e sulle prospettive future. Sembra che il focus di Kötter non sia costituito da persone particolari, ma piuttosto dallo stato d'animo generale della zona.
Scritto, girato, diretto, montato e prodotto da Kötter, il film è un pezzo di cinema d'autore nel vero senso della parola. Il regista assume la posizione di un osservatore e ascoltatore silenzioso che cerca di mettere insieme i pezzi del puzzle di questo complesso ambiente politico, sociale e culturale che si dispiega davanti a lui. Consapevolmente o intuitivamente, riesce a riprodurre un aspetto significativo del "landshaft" armeno: la divinità del terreno montuoso che implica protezione e la sua potenza sullo sfondo. In questo contesto, una figura umana appare piccola, indifesa e incapace di controllare il suo destino predeterminato. Qualunque siano le altre preoccupazioni delle persone che abitano questo paesaggio, prima o poi finiscono per parlare del regno naturale che li circonda, che non è una semplice decorazione, ma un elemento che determina la loro stessa esistenza.
Landshaft è prodotto per parte tedesca da Daniel Kötter e per parte armena da Nune Hovhannisyan.
(Tradotto dall'inglese)
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