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GOLDEN APRICOT 2023

Recensione: Black Stone

di 

- La satira sociale anti-xenofoba di Spiros Jacovides commenta con amaro umorismo un fenomeno amministrativo assurdo nella Grecia odierna

Recensione: Black Stone
Julio George Katsis in Black Stone

Nei Balcani si dice che essere "scomparsi" significa che tua madre non sa dove sei. Il primo lungometraggio di Spiros Jacovides, Black Stone [+leggi anche:
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, che ha vinto il concorso internazionale del 20° Golden Apricot International Film Festival, ruota attorno alla ricerca di un funzionario pubblico "scomparso", attraverso la lente tragicomica dell'ansia di una madre protettiva. Il film rivela anche una vergognosa pratica corrotta all'interno della pubblica amministrazione greca: il film inizia con una nota sul numero dei cosiddetti "fantasmi" nella pubblica amministrazione del paese, ossia coloro che vengono assunti ma non si presentano al lavoro. Questo sembra accadere soprattutto nel settore dei servizi sociali, dove i lavoratori sarebbero incaricati di trattare la crisi dei rifugiati intorno ai confini greci ma non lo fanno (il figlio ricercato nel film è uno di loro). Pur concentrandosi sulle avventure di una singola famiglia e della piccola comunità che la circonda, Black Stone getta anche una luce su questo singolare fenomeno e sul generale discorso xenofobo non ufficiale del paese, cercando così di dipingere un quadro più ampio dell'attuale società greca.

Sebbene Black Stone sia chiaramente un film di finzione, il regista Jacovides e il suo co-sceneggiatore Ziad Semaan giocano con una struttura documentaristica, mettendo in scena situazioni in cui i personaggi sono seguiti e intervistati da una troupe cinematografica. Il regista coglie l'occasione per presentare i monologhi così come apparirebbero in un'intervista davanti alla telecamera, ritraendo così i personaggi in modo più eloquente, in particolare la madre sessantottenne Haroula (Eleni Kokkidou), la cui franchezza senza censure e di puro cuore svela una variegata tavolozza di pregiudizi radicati nell'inconscio collettivo locale. Mentre è costantemente occupata con il figlio maggiore Lefteris (Julio George Katsis), costretto sulla sedia a rotelle, è anche preoccupata per il più giovane Panos (Achilleas Chariskos), che non torna a casa da due giorni. Quando una troupe si presenta alla sua porta, la donna li prende per reporter tv ed è ansiosa di raccontare le sue preoccupazioni. In realtà stanno documentando la ricerca di Panos, accusato di frode. Impreparata a conoscere, e tanto meno ad accettare, la vera natura del figlio, Haroula è persino propensa a sostituirlo con il tassista Michalis (Kevin Zans Ansong), cittadino greco di buon cuore e dalla pelle nera, che diventa un ospite fisso alla sua tavola e la distrae dalla sua solitudine, nonostante le sue iniziali riserve su di lui. Inoltre, accompagna lei e Lefteris durante il viaggio per ritrovare Panos e dissipare le loro illusioni.

Svolgendosi in gran parte in un ambiente domestico, sembra che il film cerchi di catturare la percezione di un insider delle fluttuazioni esterne alla società greca. Da un lato, la sceneggiatura deride senza cattiveria i preconcetti della gente comune; dall'altro, espone i calcoli istituzionalizzati sui migranti – per l'organizzazione delle Pantere Nere di Atene, Michalis è il volto promozionale perfetto per il movimento locale Black Lives Matters che vogliono creare, ma solo per stare al passo con una tendenza politica, non per aiutare veramente i migranti. In questo senso, il film rispecchia l'incapacità sia privata che pubblica di affrontare l'alterità, indipendentemente dal pathos del discorso politico ufficiale in Europa.

Black Stone è prodotto dalla greca Steficon SA, la Hellenic Broadcasting Corporation - ERT, Angry Intern Films ed Ekome. 

(Tradotto dall'inglese)

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