Recensione: Snajka: Diary of Expectations
- Nel suo documentario d'esordio, Tea Vidović Dalipi racconta la storia del suo matrimonio, aprendo un dialogo tra culture e tradizioni

Tea Vidović Dalipi non è una regista di professione. È sociologa, attivista della società civile e ricercatrice attiva nel campo delle migrazioni e delle identità culturali. Questo background variegato si rivela utile per il suo primo documentario, il personalissimo lavoro di osservazione e partecipazione Snajka: Diary of Expectations [+leggi anche:
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scheda film], in cui cerca di affrontare una serie di argomenti seri e intrecciati utilizzando l'esempio del suo matrimonio. Dopo dieci anni di riprese e post-produzione, Snajka è stato presentato in anteprima mondiale in proiezione speciale al Dokufest.
La regista apre il suo film con un lungo cartello in cui definisce il termine tradizionale balcanico "Snajka", che si riferisce a una figlia o cognata, una donna che si sposa nella casa e nella famiglia del marito e che quindi deve adattarsi e sottomettersi alle regole della famiglia ospitante. Nel caso del suo documentario, la "Snajka" è lei stessa, e lo spiega attraverso una voce fuori campo che accompagna le riprese casalinghe del suo matrimonio con Mirsad Dalipi.
Si sono incontrati durante un laboratorio di teatro dell'oppresso e si sono sposati sei mesi dopo. Lei è croata e lui è un rom del Kosovo. I loro background economici e culturali sono così diversi da essere praticamente incompatibili, quindi devono trovare degli equilibri e dei compromessi per far sì che il loro matrimonio sopravviva alle pressioni esterne e interne alle loro famiglie. Con la nascita della figlia Frida, alcune cose diventano più chiare, mentre altre si fanno più sfocate.
Il fatto che Mirsad sia tecnicamente disoccupato e un musicista formalmente non istruito che deve fare affidamento su un numero sufficiente di concerti con la batteria non incontra il favore dei genitori di Tea, aggravando il loro razzismo culturale intrinseco, mentre il razzismo che talvolta incontra nella società croata in generale non è solo "culturale". Dall'altra parte, Tea non vuole essere la stereotipata "ragazza bianca viziata" quando si tratta del suo rapporto con la famiglia di Mirsad, ma non capisce le usanze o le regole non scritte, che nessuno si preoccupa di spiegarle.
Alla fine, Snajka non riguarda tanto il ruolo di lei nella famiglia di lui e quello di lui nella società di lei, quanto i piccoli passi personali per stabilire un dialogo e una comprensione tra queste culture geograficamente vicine, ma che culturalmente non potrebbero essere più lontane l'una dall'altra. La sua struttura, tuttavia, lo rende un vero e proprio "diario delle aspettative", non solo da una parte, ma da entrambe. A volte le date sono "stampate" sullo schermo, ma appaiono senza i relativi anni, il che non risulta problematico per seguire la progressione del tempo. La qualità tecnica delle riprese effettuate dalla regista stessa e da Dinka Radonić con l'aiuto occasionale di altri, migliora, così come l'eloquenza della coppia di sposi nell'affrontare le questioni che li dividono, mentre la loro attenzione si sposta, ovviamente, da loro stessi e dai loro bisogni a quelli della figlia, che loro e le loro famiglie amano incondizionatamente. Il senso di autenticità del materiale rimane intatto con pochi interventi, mentre il montaggio di Jelena Maksimović mantiene il ritmo e la durata di 73 minuti.
Snajka: Diary of Expectations va considerato un successo cinematografico, soprattutto per un esordiente che ha acquisito le competenze necessarie durante le riprese. Tuttavia, il suo valore come inizio eloquente di un dialogo tra culture è ancora maggiore.
Snajka: Diary of Expectations è una coproduzione tra Croazia, Italia e Kosovo, guidata da Restart in coproduzione con STE Film, Al Jazeera Balkans e Möbius, e in cooperazione con Tabahana Film.
(Tradotto dall'inglese)
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