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LOCARNO 2023 Concorso

Recensione: Baan

di 

- Il primo lungometraggio di finzione di Leonor Teles è un delicato ritratto di cuori pulsanti, un invito a intraprendere un viaggio senza tempo attraverso la complessità dei legami umani

Recensione: Baan
Carolina Miragaia in Baan

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, presentato in concorso a Locarno, è il primo lungometraggio di finzione di Leonor Teles e il suo titolo è una parola thailandese che si traduce con "casa". Il titolo ci colloca quindi immediatamente in uno degli epicentri tematici del film. L'idea di appartenenza è ampia e libera ma, per citare Plinio il Vecchio, la casa è dove c'è il cuore.

In Baan battono diversi cuori, uno dei quali è quello della protagonista, L (Carolina Miragaia). È un cuore che si potrebbe descrivere in generale come uno stato di confusione, uno stare in mezzo al guado, in quanto appartiene a una architetta millennial socialmente e politicamente impegnata che vive in una zona gentrificata di Lisbona e che cerca una sorta di conforto emotivo e psicologico in modi diversi, in cose diverse, in luoghi diversi e con persone diverse.

Qualcosa si mette in moto con l'incontro incantevole, sottile ma profondamente capace di trasformare con K (Meghna Lall). Attraverso semplici gesti tra queste protagoniste, assistiamo a una moltitudine di espressioni d'amore poetiche, al limite dell'autentico: uno sguardo o il tocco di una mano possono dire tutto. Seguiamo volentieri L nel suo viaggio per capire gli altri, costruire legami e avvicinarsi a se stessa. Questo implica inevitabilmente la consapevolezza di ciò che la circonda, il che ci permette di fare un'immersione profonda in questioni che riguardano cuori umani reali e sensibili, che comprendono temi sociali e politici. Esplorando argomenti che vanno dalla gentrificazione alla xenofobia, dall'occupazione all'insicurezza finanziaria, si va oltre la superficie in modo approfondito e completo. È un film che può essere descritto come un ritratto generazionale con il potere empatico di sintonizzarsi con i più - una storia d'amore sorprendente che è consapevole sia della bellezza che della tragedia della vita.

Questo arco narrativo di avvicinamento non solo l'una all'altra, ma anche a se stesse e al mondo nel suo complesso, è accompagnato da alcuni sfocati spostamenti geografici. Viaggiamo con L da Bangkok a Lisbona e da Lisbona a Bangkok, a volte senza sapere dove o quando ci troviamo noi, come pubblico, o loro, come personaggi. Questo aspetto può essere visto come un modo per stabilire una disconnessione con il pubblico, ma anche come uno degli attributi più forti del film, in quanto trova il suo modo di evidenziare sia le somiglianze che le differenze tra questi due luoghi geograficamente lontani, collegati in un mondo globalizzato. Anche la fotografia fa eco a questo aspetto, e una piacevole sensazione di atemporalità nel presente può emergere dalle diverse strategie visive impiegate - introducendo, ad esempio, elementi brevi e taglienti che ci fanno entrare in un universo alla Wong Kar-Wai. Questo ci garantisce una rappresentazione visiva degli stati psicologici ed emotivi dei personaggi, così come l'uso preciso del colore e della luce (con tutti i suoi riflessi). È un approccio visivo che sembra personale, così come la colonna sonora: da Chaka Khan ai consueti paesaggi sonori della Festas dos Santos Populares a Lisbona, attraversiamo tutti questi momenti emotivi contemporaneamente a L.

In questo film siamo invitati a sentirci a volte un po' persi, il che può portarci a trovare ciò che è più significativo e più vicino a noi. Lasciarsi andare al percorso particolare e unico del film finisce per sembrare naturale come vivere nel presente e concentrarsi su ciò che conta davvero. Alla fine, come L., scegliamo attivamente di restare, di non fermarci mai, come testimonia uno dei tatuaggi di K: “per aspera ad astra”.

Baan è prodotta dalla portoghese Uma Pedra no Sapato, mentre Totem Films si occupa delle vendite internazionali.

(Tradotto dall'inglese)

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