Recensione: Non sono quello che sono - The Tragedy of Othello di W. Shakespeare
- Il regista Edoardo Leo trasporta l'eterna vicenda shakespeariana di intrighi e gelosie nell'Italia dei giorni nostri, ma il risultato è noioso e fondamentalmente prevedibile
Con un inquadramento retrospettivo, Non sono quello che sono - The Tragedy of Othello di W. Shakespeare [+leggi anche:
trailer
scheda film], presentato in anteprima nella sezione Piazza Grande del Locarno Film Festival, racconta la storia di Otello ambientata in un malfamato quartiere portuale italiano e dal punto di vista del pentito Iago, il quale ricostruisce i tragici eventi di 20 anni prima davanti alla polizia. Edoardo Leo, che ha sceneggiato e diretto il film, oltre a interpretare Iago, cerca di attenersi il più possibile al testo originale utilizzando però il dialetto romano e napoletano. Il risultato è un crime drama noioso, lungo due ore e fondamentalmente prevedibile, che non aggiunge nulla all'opera di Shakespeare attraverso un'interpretazione innovativa, ma piuttosto ne sfrutta la popolarità fingendo di darle una nuova voce. Inoltre, il contorto linguaggio shakespeariano e la glorificazione generale si sentono in qualche modo artificiosamente legati al dialogo, trattandosi di personaggi che vivono di piccoli crimini e abuso di droga, conferendo un tono grottesco al film.
Dopo la scena d'apertura, quando l'anziano Iago inizia il suo racconto, l'azione viene riportata indietro nel tempo e assistiamo a un episodio di violenza apparentemente gratuita in una macelleria, da lui causato, che apparentemente ci introduce al tipo di ambiente in cui si svolgeranno gli eventi. Quello che a prima vista potrebbe sembrare un clan mafioso si rivela invece una sfrenata banda di strada impegnata in banali affari sporchi i cui membri per lo più passano il tempo a bere, sniffare droga e fare sveltine nei bagni. Le donne che li circondano non vengono quasi mai messe in luce, a parte la giovane e innocente Desdemona (Ambrosia Caldarelli), che si sposa con il moro Otello (Jawad Moraqib), tra la sorpresa e l'invidia di tutti. Seguendo la struttura della trama originale, l'amarezza e il malcontento di Iago tessono una rete di eventi e intrighi che risvegliano la gelosia animalesca di Otello e lo portano al tragico e preannunciato epilogo.
Forse il più grande merito del film è la costruzione di un'atmosfera in sincronia con le oscure passioni che governano i personaggi. Interni scarsamente illuminati e claustrofobici ed esterni tenebrosi cadono sotto lo sguardo della macchina da presa del direttore della fotografia Marco Bassano, come se si volesse insinuare un'impasse dalla prima scena all'ultima, senza uscita. D'altra parte i toni di colore uniformi - una tavolozza grigio-marroncina - aumentano la monotonia dell'azione sullo schermo che, nonostante la turbolenza della storia, non riesce a creare sufficiente intrigo o suspense. Quanto al presunto approfondimento dei rapporti uomo-donna, sulla misoginia patologica e sulla possibilità di fare riferimento al tema sempre più scottante della violenza domestica, quest'ultima versione cinematografica dell'Otello non allude alla loro presenza nei tempi moderni più di quanto non facesse l'opera originale all'epoca in cui fu scritta. Non vediamo un collegamento analitico più profondo tra l'epoca e l'oggi in questo adattamento stereotipato e purtroppo inoffensivo, nonostante la quantità di sangue che si vede sullo schermo.
Non sono quello che sono - The Tragedy of Othello di W. Shakespeare è prodotto da Groenlandia e Italian International Film; Vision Distribution si occupa delle vendite internazionali.
(Tradotto dall'inglese)
Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.