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SARAJEVO 2023 Open Air

Recensione: Bosnian Pot

di 

- Pavo Marinković ha girato la storia commovente di uno scrittore fallito che cerca di rimanere nel Paese in cui è arrivato come rifugiato decenni prima

Recensione: Bosnian Pot
Senad Bašić in Bosnian Pot

La pentola bosniaca è il piatto tradizionale dei minatori bosniaci, preparato in modo particolare: tutti i membri del gruppo portano da casa verdure e possibilmente un po’ di carne, in modo da ficcare tutto in un'unica pentola e cuocere sul fuoco. Bosnian Pot [+leggi anche:
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, il nuovo film di Pavo Marinković, presentato in anteprima all'Open Air di Sarajevo, non ha molto a che fare con la cucina e con il piatto in sé, ma utilizza la metafora del titolo per raccontare la storia di un singolare rifugiato dalla guerra in Bosnia e ora stritolato dal sistema in Austria, e che fa di tutto per rimanere quando gli viene revocato il permesso di soggiorno temporaneo.

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Il nostro protagonista Faruk (Senad Bašić) è uno scrittore di scarso successo che risiede a Graz dopo essere fuggito dalla guerra a Sarajevo. Di tanto in tanto tiene qualche recital di poesie e partecipa a qualche trasmissione alla radio locale (il titolo deriva dall'argomento di un suo saggio), e trascorre la maggior parte del suo tempo libero nel circolo dei "lavoratori ospiti" incentrato sul ristorante di Stjepo (Goran Grgić), dove lavora la sua amica Dragica (Bruna Bebić). Essendo troppo intellettuale per questo ambiente operaio, non si adatta molto bene al resto della gente, ma la differenza fondamentale tra lui e loro sta da un'altra parte. Mentre loro hanno un punto d'appoggio in entrambe le loro patrie, Faruk non ne ha uno in nessuna.

I problemi iniziano quando il suo permesso di soggiorno viene revocato a causa delle rigide e complesse regole amministrative austriache, per cui deve dimostrare di lavorare e contribuire alla società per ottenerne uno nuovo. Come se non bastasse, la radio sta tagliando il suo programma e il suo amico Sigi (Aleksandar Petrović) non può proteggerlo. Ma quando Faruk incontra uno degli ospiti di Stjepo, Mujica (Admir Glamočak), che lavora come inserviente nel fatiscente teatro locale gestito dall'attrice-produttrice Therese (Brigit Stöger) e dal suo instabile fidanzato regista Manni (Andreas Kiendl), gli viene l'idea di mettere in scena una commedia che ha scritto prima della guerra. Entrambe le parti trarrebbero vantaggio dall'accordo, quindi vengono ingaggiati gli attori e le prove iniziano, ma può funzionare una "co-cospirazione" che coinvolge un artista fallito e un teatro fallito?

Bosnian Pot è un film molto fruibile dal pubblico, che tocca una serie di argomenti di cui si parla raramente, dal fatto che gli intellettuali rifugiati hanno più difficoltà a inserirsi in una nuova società all'idea che su alcune guerre del passato, insieme ai rifugiati che hanno portato con sé, si spengano i riflettori dei media ogni volta che ne sorgono di nuove. Sebbene non sia affatto un'opera spettacolare, il film trae vantaggio dalla sua idea di base a prova di bomba del viaggio dell'eroe verso la realizzazione di sé e dalla sua chiara struttura in quattro atti, oltre che dall’accurato contributo da parte di tutti i partecipanti, seppure con un budget modesto.

Senad Bašić interpreta con sicurezza il triste Faruk, mentre il resto del cast di attori croati, bosniaci e austriaci interagisce bene con lui, e Marinković guida il suo ensemble attraverso il giusto mix di commedia commovente e dramma umano. La fotografia di Peter Roehsler cattura la sobria realtà di Graz e della sua periferia, mentre la musica, composta dalla colonna sonora originale di Ted Regklis e da alcuni successi della ex-Jugoslavia, sottolinea il paesaggio emotivo del film. Alla fine, guardare Bosnian Pot è come mangiare un cibo caldo e confortante.

Bosnian Pot è una coproduzione tra Croazia, Austria e Bosnia-Erzegovina di Telefilm con Oktavijan Film Association e Nanook Film Wien.

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(Tradotto dall'inglese)

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