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VENEZIA 2023 Settimana Internazionale della Critica

Recensione: Life Is Not a Competition, But I’m Winning

di 

- VENEZIA 2023: L'esordio della cineasta tedesca Julia Fuhr Mann è un film-saggio sperimentale e polemico sulla queerness e sui corpi non normativi nel mondo dell'atletica leggera

Recensione: Life Is Not a Competition, But I’m Winning
Amanda Reiter in Life Is Not a Competition, But I’m Winning

La regista tedesca Julia Fuhr Mann riesce con successo a destrutturare il linguaggio cinematografico convenzionale nel suo film Life Is Not a Competition, But I’m Winning [+leggi anche:
trailer
intervista: Julia Fuhr Mann
scheda film
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. É un notevole risultato, specialmente considerando l'importanza delle teorie di Laura Mulvey sulla spettatorialità, che vengono discusse in modo più approfondito che mai, anche se talvolta possono essere fraintese. Inoltre, il film utilizza il metodo modicano del film saggio, consentendo una fluida esplorazione di temi come l'omosessualità, la fluidità di genere e le forze che li mettono in discussione, il tutto attraverso il nuovo prisma degli sport agonistici su pista. Quando l'abilità della regista nell’utilizzo del suono e nella composizione si combina con questa polemica, il risultato è elettrizzante. Tuttavia, altri aspetti del film, specialmente man mano che questo avanza, convincono meno. Life Is Not a Competition, But I’m Winning è stato uno dei primi film a essere presentato in concorso alla Settimana internazionale della Critica alla Mostra di Venezia di quest’anno.

Nel film, diretto in modo elegante in formato panoramico e ambientato tra le imponenti architetture pubbliche, la regista Julia Fuhr Mann si concentra su un collettivo di atleti queer. Invece di classificarli come attori non professionisti, chiamarli con i loro veri nomi, o fargli parlare tanto, li utilizza in modo compositivo e scultoreo all'interno del contesto del film. Tra gli atleti del collettivo ci sono Caitlin Fisher, Daniel Marin Medina, Chun Mei Tan ed Eva Maria Jost. Essi appresentano una sorta di difesa contro le radici fasciste dello Stadio Olimpico di Berlino. Li vediamo disposti in una formazione perfetta di fronte alle file vuote di sedie pieghevoli o sovrapposti digitalmente con immagini d'archivio che rappresentano ingiustizie storiche nello sport mondiale. Possiamo interpretarli come un avvertimento o addirittura come messaggeri del futuro.

Nel suo momento migliore, il materiale ha la stessa aura profonda e carismatica di una solida presentazione di ricerca per laureati - un'atmosfera da "cattedra e una presentazione con PowerPoint". Con una voce fuori campo che evoca in modo inquietante e intenzionale il discorso automatico che si fa quando si chiede a un computer di "leggere" il proprio articolo, si inveisce in modo articolato contro la discriminazione prevalente nello sport segregato per genere. La misoginia nella storia passata, come le richieste e le aspettative sugli standard di bellezza femminile (dagli organizzatori dei tornei ai media), viene contrapposta alle organizzazioni sportive contemporanee, a loro volta insidiosamente transfobiche, che impongono pericolose terapie di riduzione del testosterone per le atlete ritenute indebitamente avvantaggiate (per dimostrarlo si utilizza il caso della velocista ugandese degli 800 metri Annet Negesa, con filmati originali girati dalla Fuhr Mann).

In termini di messaggio, la regista presenta punti provocatori e ben espressi, e lascia a noi il compito di analizzare le varie implicazioni; tuttavia, emerge il concetto che lo sport è un'arena sia letterale che simbolica in cui le differenze di genere vengono controllate e fatte rispettare. "Non c'è mai stato un quadro solido. Stanno emergendo crepe e vuoti", afferma la voce fuori campo alla fine del film. Sebbene alcuni aspetti formali si attenuino man mano che l'argomentazione di Fuhr Mann prosegue e inizia a basarsi sulle testimonianze dei suoi partecipanti, come Negesa e l'atleta trans Amanda Reiter, si tratta indubbiamente di un'opera cinematografica al passo con il discorso odierno, opportuna anche in seguito al caso Luis Rubiales che ha messo a repentaglio la vittoria della Coppa del Mondo femminile della Spagna.

Life Is Not a Competition, But I’m Winning è una produzione tedesca di Schuldenberg Films, University of Television and Film Munich e ZDF. Le sue vendite internazionali sono gestite da First Hand Films.

(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)


Photogallery 01/09/2023: Venezia 2023 - Life Is Not a Competition, But I’m Winning

10 immagini disponibili. Scorri verso sinistra o destra per vederle tutte.

Julia Fuhr Mann, Beatrice Fiorentino, Amanda Reiter, Chun Mei Tan, Caroline Spreitzenbart
© 2023 Isabeau de Gennaro for Cineuropa - fadege.it

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