Recensione: Puan
di Júlia Olmo
- Gli argentini María Alché e Benjamín Naishtat presentano una tragicommedia a sfondo politico sul significato e la perdita degli ideali
Marcelo ha dedicato la sua vita all'insegnamento della filosofia all'Università di Buenos Aires. Quando il professor Caselli, suo mentore e amico, muore inaspettatamente, Marcelo presume di ereditare il posto vacante di titolare della cattedra. Quello che non immagina è che Rafael Sujarchuk, un collega carismatico e seduttivo, tornerà dalla sua posizione privilegiata nelle università europee per contendergli il posto lasciato libero. Gli sforzi di Marcelo per dimostrare di essere il candidato migliore scateneranno un divertente duello filosofico, mentre la sua vita e il Paese precipitano in una spirale di crisi e caos. Questa è la vicenda raccontata in Puan [+leggi anche:
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intervista: Benjamín Naishtat e María …
scheda film], film diretto e scritto da María Alché e Benjamín Naishtat, interpretato da Leonardo Sbaraglia e Marcelo Subiotto, e presentato in concorso al 71mo Festival di San Sebastian.
Il film si concentra sulla storia della coppia di protagonisti, il professore goffo e idealista e il cinico orchestratore, di quella generazione che voleva cambiare il mondo mentre il mondo ha cambiato lei, quello che erano e quello che sono ora. E riflette anche il mondo dell'università pubblica di oggi, i suoi stereotipi (perché ce ne sono), le sue dinamiche interne, i suoi problemi, i suoi rapporti di potere, i suoi classici scontri tra ego, il suo sfondo politico e sociale, le sue nuove generazioni. Il "Puan" (il nome della famosa università che dà il titolo al film, pietra miliare dei movimenti studenteschi e rivoluzionari argentini) è anche una perfetta rappresentazione di ciò che è la vita, di come funziona, dei suoi alti e bassi, dei suoi conflitti, delle sue lotte e del suo disordine. Il film parla così dell'idealismo e della sua scomparsa, delle derive neoliberiste della società, del significato di ciò che facciamo, del perché decidiamo di dedicare il nostro tempo a una professione o a un compito (al di là del denaro), dell'importanza dell'istruzione, di ciò che ci separa e di ciò che ci unisce, della distanza e della coerenza tra pensiero e azione, delle apparenze e delle sorprese che la vita a volte ci riserva.
La modalità dinarrativa dei registi è divertente e arguta. Uno dei suoi grandi punti di forza risiede nel senso dell'umorismo, tra ironia, assurdità e costumbrismo, nelle situazioni divertenti e a volte patetiche e sconcertanti che ritraggono i loro personaggi, soprattutto quelli dedicati a Sujarchuk (come quando coglie l'occasione per vantarsi del suo perfetto tedesco durante l'omaggio al professore defunto, che conosceva appena). Questo personaggio tragicomico è molto presente nel film, e a poco a poco anche il suo lato politico e intimo viene rivelato in modo più esplicito. Tutto scorre con naturalezza e semplicità, senza imposture o grandi artifici. Anche il rapporto tra i due protagonisti è raccontato con umanità, dal loro confronto alla capacità di empatia reciproca, e Sbaraglia e Subiotto sono magnifici in questo duello attoriale, rendendo i loro personaggi credibili, i loro comportamenti e le loro goffaggini vicini ai nostri.
Puan è un film piacevole da vedere, divertente e impegnato allo stesso tempo, che funziona come commedia, dramma e cinema politico, cronaca di una sconfitta e della dignità che si può trovare in essa, e ancora una riflessione agrodolce sul significato e la crisi degli ideali, sugli alti e bassi del comportamento umano.
Puan è una coproduzione tra Argentina, Italia, Germania, Francia e Brasile di Pasto Cine, Pucara Cine, Kino Produzioni, Pandora Filmproduktion e Atelier de Production e Bubbles Project, insieme alla statunitense Infinity Hill. Le vendite internazionali sono gestite da Luxbox.
(Tradotto dallo spagnolo)
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