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GOLDEN ROSE 2023

Recensione: Dyad

di 

- Il secondo lungo di Yana Titova è un racconto di formazione nella provincia bulgara in cui la forte personalità della protagonista sboccia prima del tempo per compensare una genitorialità assente

Recensione: Dyad
Margarita Stoykova in Dyad

In Bulgaria, come in altri Paesi balcanici ex-comunisti, la liberalizzazione post-totalitaria si è sviluppata parallelamente al fenomeno della chalga, uno stile musicale che intreccia ritmi pop con elementi di čoček orientale, ma che fondamentalmente promuove uno stile di vita eccessivamente sessualizzato ed esclusivamente consumistico, basato sugli istinti primari. La protagonista di Dyad [+leggi anche:
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, Dida (la talentuosa Margarita Stoykova), rappresenta la seconda generazione che ha già sviluppato la propria visione della vita al ritmo di questa colonna sonora che proclama che possedere Ferrari e tette al silicone è la strada per la felicità. I valori della chalga sono penetrati nella cultura ufficiale, quindi non c'è da stupirsi se gli adolescenti si lasciano ingannare dalle sue illusioni a buon mercato: sono i prodotti e le vittime di questa cultura, che provengano da famiglie modeste o benestanti. In modo indiretto, pur facendo chiaramente riferimento al collasso del sistema educativo, il film di Yana Titova - al Golden Golden Rose Film Festival di Varna nel Concorso Lungometraggi, dove ha vinto il premio per la miglior regia e condiviso il premio per il miglior film con Blaga's Lessons [+leggi anche:
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- cerca di tracciare una mappa delle conseguenze dell'influenza totalizzante della chalga.

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Inizialmente, i personaggi sono due: Dida e il suo doppio, o almeno così sembra dall'esterno. La sua amica Iva (Petra Tsarnorechka) è la più femminile e sottomessa della coppia, parla in continuazione del suo fidanzato e viene coccolata dalla sua famiglia di nouveau riche che dà l'impressione di godere di uno stile di vita sontuoso ma che in realtà vive a credito. Sono inseparabili, ma mentre Iva sembra felice, lo scopo ultimo della vita di Dida è quello di andarsene, ad ogni costo: "reclutando" ragazze timide per la prostituzione online o, nelle pause tra una bevuta e l’altra con il padre, facendo sesso orale coi suoi compagni di classe nel cortile della scuola o col suo disgustoso insegnante di educazione fisica. È disposta a tutto pur di mettere insieme i soldi necessari per un biglietto per gli Stati Uniti, dove intende laurearsi in belle arti, e crede che la madre lontana, che non è altro che un'immagine sfocata su un desktop, la stia aspettando. Il mondo la maltratta, ma non è una strada a senso unico. Emotivamente trattenuta e capace di autocontrollo anche di fronte a un aborto, esplode improvvisamente quando i rapporti con Iva e con la madre estrnea vanno in frantumi.

Abbiamo già visto questa storia molte volte, soprattutto nel genere coming-of-age e in particolare in un contesto dell'Europa dell'Est: una ragazza non amata, abbandonata dai genitori a causa della loro immaturità e delle loro scarse prospettive di vita, si mostra incline a un comportamento cinico come meccanismo di autoprotezione, e commette la maggior parte degli errori comuni alla sua età. Ciò che distingue Dyad da altri film è il suo approccio descrittivo dell'ambiente di Dida; non si tratta solo della sua famiglia disfunzionale, dell'istruzione inutile o della mente collettiva marcia, ma della mancanza di una comunicazione significativa a tutti i livelli, incarnata da una variegata tavolozza di personaggi e dai loro continui pettegolezzi superficiali: insegnanti incompetenti o sadici, lo psicologo indifferente, il padre volgare e spesso ubriaco, la madre assente e saltuaria che vediamo in un’unica chiamata online nel film. Un frenetico ensemble di affermati attori bulgari illustra il marciume della disintegrazione sociale e si affianca organicamente ai non professionisti che interpretano gli studenti, tra cui Stoykova e Tsarnorechka, promettenti esordienti nei ruoli da protagoniste. L'uso di colori vivaci da parte del direttore della fotografia Martin Balkansky per raccontare una storia sempre più cupa è un approccio alquanto spiritoso, che sottolinea il contrasto tra le illusioni caramellose implicite nella narrazione chalga e la brutale realtà sotto la superficie.

Dyad è prodotto dalla bulgara Portokal in coproduzione con No Blink, Sonus e Right Solutions.

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(Tradotto dall'inglese)

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