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FILM / RECENSIONI Italia / Francia

Recensione: L’ultima volta che siamo stati bambini

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- L’esordio alla regia dell’attore Claudio Bisio affronta il tema della Shoah in chiave tragicomica, ma le buone intenzioni non nascondono l’inesperienza registica e un approccio poco reale

Recensione: L’ultima volta che siamo stati bambini
Carlotta De Leonardis, Alessio Di Domenicantonio e Vincenzo Sebastiani in L’ultima volta che siamo stati bambini

Per il suo esordio alla regia, L’ultima volta che siamo stati bambini [+leggi anche:
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, dal 12 ottobre nelle sale italiane distribuito da Medusa Film, l’attore Claudio Bisio affronta il non facile tema della Shoah, rievocando uno degli episodi più drammatici della Seconda Guerra Mondiale, il rastrellamento del ghetto di Roma da parte delle SS con la collaborazione del regime fascista della Repubblica Sociale Italiana il 16 ottobre 1943. Bisio sceglie la chiave tragicomica, vicina alla sua cifra di cabarettista, comico in tv, interprete di commedie a cinema e a teatro, adattando il romanzo omonimo di Fabio Bartolomei. È evidente il legame con il film premio Oscar La vita è bella di Roberto Benigni, Jojo Rabbit [+leggi anche:
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di Taika Waititi (Oscar alla migliore sceneggiatura non originale) o Train de vie di Radu Mihăileanu, anche se non si avvicina a nessuno di questi titoli dal punto di vista del risultato.

Siamo nella Capitale occupata dai nazisti, martoriata dai bombardamenti degli Alleati, con una popolazione divisa e alla fame. Tre ragazzini giocano assieme, per strada: Cosimo (Alessio Di Domenicantonio) ha il padre al confino per aver gridato “Mussolini è un sacco di merda” e vive con il nonno (Antonello Fassari). Italo (Vincenzo Sebastiani) ha il papà fascista (impersonato dallo stesso Bisio nella classica caricatura del gerarca) che fa parte del Gabinetto di Guerra e sta organizzando il rastrellamento del ghetto agli ordini di un generale tedesco. Italo parla solo attraverso slogan del regime e vive all’ombra dell’eroico fratello Vittorio, miliziano ferito in battaglia (Federico Cesari). Insulta senza rendersene nemmeno conto l’amico Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini), bambino di famiglia ebrea costretto a indossare la stella gialla. Ai tre si aggiunge la intraprendente Vanda (Carlotta De Leonardis), ospite di un orfanotrofio dal quale fugge regolarmente attraverso una breccia nel muro di cinta. Quando Riccardo sparisce, costretto dai nazisti a salire su un treno, i tre si mettono sulle sue tracce con l’idea di liberarlo, seguendo i binari verso nord. A loro volta inseguiti dallo zoppicante Vittorio e da una suora dell’orfanotrofio (Marianna Fontana).

Da questo momento la struttura del film è quello di Stand by Me, il capolavoro di Rob Reiner del 1985. Nella storia tratta da Stephen King un gruppo di adolescenti di estrazione diversa partiva lungo i binari in Oregon alla ricerca del corpo di un ragazzo e superava alcune prove “iniziatiche” che simboleggiavano il coming of age. Lo stesso capita in L’ultima volta che siamo stati bambini (il titolo stesso indica la fine dell’innocenza di fronte all’orrore), ma con una leggerezza che sconfina nell’inconsistenza. In Stand by Me il cadavere del ragazzo sconosciuto aleggiava come un fantasma sull’avventura dei dodicenni, qui Bisio scegli di dimenticare l’oggetto della perdita, come se non riuscisse davvero a rievocare il rimosso del genocidio. Lo spettatore (che immaginiamo dovrebbe essere un pubblico compreso tra gli 8 e i 10 anni al massimo) assiste ad una serie di gag divertenti interpretate dal simpatico e spontaneo terzetto di attori esordienti, fino al drammatico finale che si esaurisce in una rapida scena che sembra incollata al resto del film.

Incalzato da una colonna sonora (di Pivio e Aldo De Scalzi) presente in ogni interstizio e fatta di marcette fasciste e sonorità klezmer, il film mostra anonimi partigiani uccisi e abbandonati sul ciglio della strada e fascisti buoni e carini, quando non sono stupidotti ingannati dai nazisti cattivi. L’accenno della suora al silenzio della Chiesa di fronte allo sterminio è appunto solo un accenno. Quello del film è un approccio che sia il meno traumatico possibile, in cui la realtà rimane fuori dall’inquadratura, l’umorismo è slegato dall’oggetto, non c’è insomma l’ironia feroce che ci fa ridere di Hitler in Jojo Rabbit. Mentre le buone intenzioni della scrittura non nascondono l’inesperienza registica. 

L’ultima volta che siamo stati bambini è prodotto da Solea, Bartlebyfilm e Rosebud Entertainment Pictures con Medusa Film e Prime Video.

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