BLACK NIGHTS 2023 Concorso Opere Prime
Recensione: Mo Mamma
- Il primo lungometraggio della regista estone Eeva Mägi esplora con tenerezza i legami familiari e l'accettazione reciproca, mettendo in scena tre generazioni di donne

Nella sua non lunga ma intensa filmografia di cortometraggi, Eeva Mägi sembra aver sperimentato una varietà di stili e argomenti: ha realizzato poetici ritratti documentari sulla vita di villaggio (Lembri Uudu, 2017) e sull'alcol come compagno di giornate solitarie (The Weight of All the Beauty, 2019), un dramma assurdo sulla custodia dei figli (County Court, 2021) e un elegante western di vendetta con elementi d'opera (3rd Octave F, 2022). Ciò che accomuna questi vari tentativi è che si svolgono in zone remote e trattano temi intimi. Non c'è quindi da stupirsi se il suo primo lungometraggio di finzione, Mo Mamma [+leggi anche:
intervista: Eeva Mägi
scheda film], attualmente in concorso Opera prima al Festival Black Nights di Tallinn, scaraventa le sue eroine in un'accogliente ma deserta casa di legno in un villaggio che non riusciamo mai a vedere, poiché solo i vasti e vuoti campi dei suoi dintorni rientrano nell'obiettivo del direttore della fotografia Sten-Johan Lill. Con l'inclusione di alcune riprese amatoriali della sua vita reale e l'adozione di un approccio semi-autobiografico, si tratta di un film ibrido, che si basa su una storia personale e sull'esperienza di Mägi nella realizzazione di documentari. Nel frattempo, l'altro documentario appena completato, Who Am I Smiling For? – sempre su temi intimi come la maternità e la malattia terminale – viene presentato in anteprima nello stesso festival baltico e conferma ancora una volta la sua volontà di raggiungere gli angoli più reconditi dell'animo umano.
Madre e figlia litigano in auto: la figlia accusa la madre di flirtare con un ragazzo mentre la nonna sta morendo in ospedale. La madre cerca di ostracizzare la figlia con il silenzio e la negligenza, soprattutto quando, in seguito, viene ulteriormente accusata di essere una figura fredda, egoista e traumatizzante. Sembra che nessuna delle due sia in grado di capire l'altra in queste scene iniziali, ed è forse per questo che il film si allontana dalla razionalità e intraprende un viaggio onirico a ritroso nel tempo, attraverso i ricordi di Mamma, il pilastro della loro stirpe femminile la cui vita si sta spegnendo e che conosciamo solo da videocassette sfocate. In tutta la loro frammentazione, questi spezzoni di vita astratti e sparsi le aiutano a radicarsi in un terreno solido e ci permettono di percepire il profondo legame ancestrale che le unisce. E alla fine le aiutano ad attraversare il dolore insieme e a lasciar andare la rabbia reciproca, pur permettendosi di essere infantili e sciocche, isteriche e pateticamente sentimentali, vulnerabili e illogiche, proprio come ci si può permettere di essere solo in grembo a una madre, per quanto il suo amore possa essere doloroso e dannoso.
Come rivela la stessa Mägi in un'intervista per il canale televisivo del festival, Mo Mamma è stato prodotto in modo spontaneo e in pochissimo tempo, con pochissimi soldi. Forse per questo motivo, sembra un urlo senza freni, estratto dal nucleo più doloroso dell'esistenza. In assenza di un piano di riprese rigoroso e di una sceneggiatura strutturata, le due attrici, Helena Lotman nel ruolo della figlia ed Eva Koldits in quello della madre, hanno avuto molto spazio per l'improvvisazione e potrebbero probabilmente essere considerate co-autrici del film. In alcuni punti, la frivola forma saggistica non riesce a catturare l'attenzione dello spettatore, ma ciò è compensato dal calore atmosferico che madre e figlia finiscono per creare nel loro habitat familiare, nonché dalla catartica riconciliazione verso la fine.
Mo Mamma è prodotto dalle società estoni Filmivabrik e Kinosaurus Film.
(Tradotto dall'inglese)
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