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IDFA 2023

Recensione: 2G

di 

- Karim Sayad segue quattro ex contrabbandieri nigeriani alle prese con un quotidiano che offre ben poche possibilità. Ciò che il regista cattura è la poesia disperata che li accompagna

Recensione: 2G

Girato ad Agadez, la più grande città del nord della Nigeria situata nel deserto del Sahara, 2G [+leggi anche:
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, quarto lungometraggio del regista svizzero-algerino Karim Sayad, presentato in prima mondiale all’IDFA nella sezione Frontlight, è un film ipnotico che riesce a catturare le contraddizione proprie a un territorio che ha fatto della sopravvivenza il suo credo. Immerso nella luce crepuscolare e sfuggente del deserto (catturata con grande bravura dal regista malgrado le evidenti difficoltà tecniche), il film si concentra su un gruppo di uomini: Ibrahim, suo figlio Abdelsalam, Daouda e El Bak, che, a causa del divieto da parte del governo di trasportare attraverso il deserto i migranti illegali, devono trovare altre soluzioni per sopravvivere. Se il traffico di esseri umani, che i protagonisti del film vivevano in modo distaccato, come una fatalità necessaria, non può non interpellarci, le motivazioni che avanzano, la mancanza di alternative alle quali aggrapparsi ci spingono a riflettere a ciò che questi “aguzzini” devono davvero affrontare.

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Senza giudicare ma al contrario cercando di esporre i fatti in modo obiettivo facendo trasparire la complessità e ambiguità di transazioni commerciali crudelmente banali, Sayad ci obbliga ad immergerci in un universo dai toni apocalittici dominato da contrasti di luce che mimano la violenza dei sentimenti provati dai suoi protagonisti. Riconvertiti in temerari cercatori d’oro e autisti del deserto pronti a tutti per consegnare qualche sacco di pietra polverizzata, Ibrahim, Abdelsalam, Daouda e El Bak svelano la loro vita in modo pudico attraverso una voce fuori campo che non diventa mai ridondante.

Seppur le tracce della loro vita precedente da contrabbandieri continuano ad impregnare il loro quotidiano (significativa a questo proposito la scena in cui Ibrahim e suo figlio incrociano, mentre guidano la loro macchina sobbalzante, un furgoncino evidentemente strapieno di migranti), è ora alla sopravvivenza che si dedicano. Rassegnati al loro destino, preferito da alcuni rispetto all’esilio che non dà nessuna garanzia, gli ex trafficanti si suddividono allora in due gruppi: quelli che si lanciano, non avendo paura di niente se non di Dio, alla ricerca dell’oro e quelli che preferiscono optare per un’attività meno lucrativa ma anche meno rischiosa (“L’oro ti cambia” dice uno dei protagonisti) ossia il trasporto di merci nel deserto.

Dominato da uomini, da automobili soffocate dalla sabbia che gli volteggia intorno quasi ballando, e da una vastità da capogiro dove le luci sembrano provenire da altri mondi, 2G è un film che emana un’aurea al contempo serena e crudele, pragmatica e poetica. Come la luce del deserto e i volti incattiviti e avidi di chi, infine, riesce a trovare l’oro, tutto sembra poter cambiare in un attimo.

La musica, affidata a Vuk Vukmanovic, così come il tema conclusivo del film La battaglia di Algeri, dei maestri Ennio Morricone e Bruno Nicolai, regalano al film momenti di respiro necessari. Attraverso piani ravvicinati sulle mani inquiete e cosparse di polvere dei suoi protagonisti che si aggiustano il turbante o cercano di captare la poca rete telefonica di cui dispongono, Sayad trasforma i loro gesti in coreografie, li alleggerisce e libera dalla fatica del quotidiano. Come la pianta di fagioli coltivata nel deserto da uno dei cercatori d’oro, anche i protagonisti del film cercano di sopravvivere in un luogo che malgrado sia ostile rimane comunque, per loro, casa.

2G è prodotto da Close Up Films insieme alla SRG SSR, e la RTS Radio Télévision Suisse. Filmotor S.R.O. si occupa delle vendite all’internazionale.

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