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BLACK NIGHTS 2023 Concorso

Recensione: White Flag

di 

- Con il suo secondo lungometraggio, il regista svizzero-mongolo Batbayar Chogsom fa luce sull'emarginazione dell'identità queer in Mongolia

Recensione: White Flag
Urtnasan Erdenebayar in White Flag

Cinque anni dopo il suo debutto nel lungometraggio, Out of Paradise [+leggi anche:
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, che ha vinto il premio per il miglior film allo Shanghai International Film Festival del 2018, lo sceneggiatore e regista svizzero-mongolo Batbayar Chogsom è tornato con un nuovo film. Il suo secondo lungometraggio, White Flag [+leggi anche:
intervista: Batbayar Chogsom
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, è stato presentato in anteprima mondiale nel concorso principale del Festival Black Nights di Tallinn.

White Flag inizia con un'inquadratura estrema di un uomo che insegue una donna in una steppa vuota, evocando vagamente la sequenza di apertura di Urga: territorio d’amore (1991), vincitore del Leone d'Oro, di Nikita Mikhalkov. Quando il detective di città Zorig (Samdanpurev Oyunsambuu) arriva in un villaggio rurale per indagare sulla recente scomparsa di un uomo del posto, due giovani mandriane che vivono insieme diventano rapidamente le sue principali sospettate. Naran (Urtnasan Erdenebayar) e Saran (Erdenetsetseg Enkhbayar), i cui nomi significano rispettivamente "sole" e "luna", fingono di essere sorelle, ma il loro rapporto intimo viene presto chiarito. Quando Zorig inizia a frequentare la loro ger (che è diversa da una iurta), diventa sempre meno chiaro se le sue visite siano professionali o personali.

L'intrigante ambientazione della trama e la promettente sequenza iniziale che fa un grande uso dello spazio negativo suscitano l'interesse dello spettatore, che purtroppo Batbayar si lascia sfuggire abbastanza presto (il regista viene chiamato per nome, a causa dell'uso specifico dei patronimici in Mongolia).

La colonna sonora strumentale etnica di Yukio Elien Lanz si rivela complessivamente appropriata, tranne che in alcune scene in esterni. Queste ultime consistono per lo più in ampie carrellate, che seguono senza fretta i personaggi a cavallo o in motocicletta, e in riprese lunghe e statiche, che mostrano il bestiame al pascolo e gli uccelli che volano su terreni polverosi e quasi brulli. Un'ambientazione così ampia, catturata dalla splendida, anche se un po' schematica, macchina da presa di Lukas Graf, sembra accentuare i difetti della sceneggiatura, come le introduzioni poco incisive e le motivazioni confuse dei protagonisti. Intrecciati alla storia attuale si alternano i flashback, in cui le scene di città vengono accostate alla calma della campagna, come era stato fatto anche in Out of Paradise, rivelando perché Naran non riesce a concepire un figlio e odia la città. Nel presente, l'obiettivo delle due donne è quello di avere un figlio, ma il loro metodo è confuso come la reazione sconcertante di Naran a un certo evento chiave e angosciante più avanti nel film.

Quelli che dovrebbero essere momenti di intimità tra Naran e Saran risultano banali, come la scena in cui le due si fanno il solletico a vicenda, o artificiosi, come quando fanno il bagno insieme in una sequenza accuratamente orchestrata di movimenti: lasciando cadere un deel sul pavimento in un'inquadratura a livello del suolo ed entrando insieme in una piccola vasca da bagno, una di fronte all'altra.

Nei film di Batbayar, l'infedeltà sembra essere un filo conduttore. Se il protagonista di Out of Paradise che passa la notte con una prostituta mentre la moglie incinta è da sola in travaglio lasciava perplessi, in White Flag ci sono non uno, non due, ma ben tre personaggi che hanno una relazione. Sebbene non siano stati valorizzati da queste idiosincrasie della sceneggiatura, Urtnasan ed Erdenetsetseg mostrano il loro potenziale per una performance più versatile.

Nonostante l'intenzione di Batbayar di far luce sull'emarginazione dell’identità queer in Mongolia realizzando il primo lungometraggio queer del paese sia lodevole, White Flag avrebbe potuto beneficiare di un approccio più morbido e delicato.

White Flag è una produzione mongolo-svizzero-giapponese guidata da Chogsom Film e Monkeyspice Inc.

(Tradotto dall'inglese)

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