email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

TORINO 2023

Recensione: Le Belle Estati

di 

- Mauro Santini adatta liberamente due romanzi di Cesare Pavese in un film sperimentale che gioca coi limiti tra realtà e finzione

Recensione: Le Belle Estati

S'intitola Le Belle Estati il nuovo film di Mauro Santini presentato nella sezione Concorso Documentari Italiani della 41ma edizione del Torino Film Festival. Il progetto, concepito come laboratorio audiovisivo per i ragazzi del Liceo Artistico Mengaroni di Pesaro, diventa un film sperimentale, a tratti lirico, in cui vengono trasposti in maniera molto libera i due romanzi brevi di Cesare Pavese, La Bella Estate e Il Diavolo sulle Colline, classici moderni che hanno saputo raccontare l’età della giovinezza come pochi. Mauro Santini e i suoi studenti mettono in scena situazioni e personaggi originariamente pensati a Torino adattandoli alla Pesaro odierna, in un’operazione che mette in risalto l’aspetto universale dell’opera di Pavese e la capacità che ha ancora il cinema di attingere alle fonti letterarie con grande immaginazione. Man mano che le immagini scorrono sullo schermo vediamo i ragazzi trasformarsi, crescere e fare esperienza del mondo alla maniera dei personaggi pavesiani Ginia, Amelia, Pieretto e Guido, in un dialogo continuo fra le parole dei due romanzi, tra suono e immagine, tra finzione e realtà.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Le Belle Estati si pone come sfida quella di raccontare gli ardori e gli imbarazzi della gioventù mescolando i linguaggi dell’arte, passando dalla pittura al cinema moderno di Antonioni, in una continua myse en abyme che permette ai giovani attori di svelare qualcosa di sé recitando. Tutti i personaggi letterari sono interpretati da almeno due attori, a ricalcare la doppia natura del film, che si abbevera da due fonti. Questo dispositivo, che vede i protagonisti mettersi in mostra sia da studenti che da attori, ricalca ad esempio alcuni eventi narrati da Pavese in entrambi i romanzi, in particolare la scena di Ginia che si spoglia o dei ragazzi che si bagnano nudi. Una nudità che nel film non può che diventare metaforica, e che gioca con l’idea di un'identità acerba, in divenire.

In questo senso il film diventa un saggio sulla messa in scena e al contempo testimonianza delle gioie, difficoltà e paure dell’ultimo anno di scuola superiore, fatto di salti nel vuoto e di amori furtivi. Una sfida non facile quella di Santini, che si misura con un autore che precedentemente era stato portato sul grande e piccolo schermo da Michelangelo Antonioni appunto (Le Amiche, 1955) e Vittorio Cottafavi (Il diavolo sulle colline, 1985) e che ha un immenso peso nella cultura italiana. Un peso dal quale il regista e gli studenti si liberano trattando il testo come materiale moderno e restituendo ai personaggi la stessa spontaneità datagli da Pavese, una spontaneità nutrita dalla loro natura provinciale, messa a confronto con le tentazioni e i vizi del mondo.

Mauro Santini racconta che per preparare gli studenti alle riprese ha mostrato loro i film di Jonas Mekas e Mothlight di Stan Brakhage, affinché avessero un’idea di cinema che non implichi per forza l’uso della macchina da presa. Un approccio pedagogico alle immagini eterodosso, che dovrebbe letteralmente fare scuola e che sfocia in un film molto libero, ammantato da un lieve pudore adolescenziale.

Il film è stato prodotto dal Liceo Artistico Mengaroni grazie ai fondi del bando Cinema e Immagini indetto dal Ministero della Cultura in collaborazione col Ministero dell’Istruzione e del Merito.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy