email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: Il punto di rugiada

di 

- Il nuovo film di Marco Risi affronta il rapporto giovani-vecchi evitando derive sentimentali e guidando un cast eccellente di attori di entrambe le generazioni

Recensione: Il punto di rugiada
Alessandro Fella in Il punto di rugiada

La diffusione del coronavirus ha messo il mondo davanti ad un dilemma morale rispetto alla categoria sociale degli anziani: la maggiore fragilità di fronte all’aggressione del virus e le scelte dei medici nell’urgenza della pandemia, l’interruzione dei contatti con l’esterno, la morte in solitudine, l’impossibilità di elaborare il lutto da parte dei parenti. Marco Risi, regista da sempre vicino ad un cinema d’impegno civile e d’inchiesta (Mery per sempre, Muro di gomma, Fortapàsc [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
, Cha Cha Cha [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
) ha affrontato l’argomento del rapporto giovani-vecchi con Il punto di rugiada, dal 18 gennaio nei cinema italiani con Fandango Distribuzione dopo il passaggio fuori concorso al Torino Film Festival a novembre. Non si fa mai cenno al covid nel film ma la data che compare all’inizio (Estate 2028) e la didascalia alla fine lo chiamano drammaticamente in causa, come un imminente tsunami che spazzerà via tutto.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Due trentenni, Carlo (Alessandro Fella) e Manuel (Roberto Gudese), vengono accompagnati dalla polizia a Villa Bianca, elegante casa di riposo per anziani, dove dovranno scontare un anno di lavori sociali dopo la condanna per aver provocato un grave incidente stradale in stato di ebrezza, il primo, e per spaccio di stupefacenti, il secondo. Nonostante le disposizioni del severo direttore della struttura, Carlo continua la sua vita sregolata quando ogni sera esce dalla villa e raggiunge gli amici. Incontra casualmente la ragazza rimasta sfregiata nell’incidente per colpa sua e la ignora, non ha nemmeno il coraggio di chiedere scusa. Il regista ce lo mostra in una scena con i suoi: una famiglia molto ricca con il padre che si è risposato con una donna giovane e lo ignora. Il ragazzo colma questo vuoto affettivo, trovando una figura paterna in uno degli anziani ospite della villa, un ex fotografo depresso che medita il suicidio (l’eccellente Massimo De Francovich). E trovando persino il vero amore grazie ad una infermiera (Lucia Rossi).

Con una regia attenta e misurata, di grande mestiere, Risi decodifica il vecchio topos cinematografico del rapporto tra le generazioni, evitando derive sentimentali, cliché e cadute di tono. Intreccia con armonia le vite di tutti gli ospiti grazie a un fenomenale cast di anziani attori (Erso Pagni, Luigi Diberti, Erica Blanc, Elena Cotta, Maurizio Micheli) alternando momenti di leggerezza a snodi drammatici, seguendo una sceneggiatura (scritta assieme a Francesco Frangipane e Riccardo de Torrebruna) che non desidera creare ricatti emotivi. C’è una profonda identificazione, una visione dall’interno di quella generazione.

Parafrasando Freud quando sosteneva che nell’inconscio ciascuno è convinto della propria immortalità, Risi ci mostra che nell’inconscio ciascuno è convinto anche della propria giovinezza, proprio quando aleggia una pulsione di morte. In una società che interpreta la decadenza fisica non come maturità biografica ma come debolezza e ha imparato a ignorare la sacralità di un corpo che non sia aderente agli standard estetici e performativi, e sottovaluta il valore della testimonianza, della vecchiaia come luogo dove si deposita il senso, Risi ci chiede di credere in una nuova, possibile riconciliazione tra noi e quel padre che manca alla nostra società.

Il punto di rugiada è prodotto da Fandango con Rai Cinema.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy