Recensione: Kripton
- Nel suo doc, Francesco Munzi tratta con pudore ed empatia il tema della malattia mentale, dando voce ai giovani pazienti psichiatrici di una comunità terapeutica di Roma

Dallo scoppio della pandemia, i casi di disagio mentale, in particolare tra gli adolescenti, sono aumentati del 30%. Eppure, in Italia, i servizi di salute mentale sono tra i più colpiti dalla riduzione delle risorse investite nella sanità pubblica. Incrociare questi due dati, al termine della visione di Kripton di Francesco Munzi, presentato in proiezione speciale alla 18ma Festa del Cinema di Roma e nelle sale italiane dal 18 gennaio distribuito da ZaLab, crea un inevitabile sconcerto. Realizzato nell'ambito delle celebrazioni per i cento anni dalla nascita di Franco Basaglia – lo psichiatra italiano cui è intitolata la legge che nel 1978 sancì la chiusura dei manicomi, inaugurando un nuovo metodo di cura della malattia mentale, più attento all’individualità e all’umanità dei pazienti – il nuovo film dell’apprezzato autore di Anime nere [+leggi anche:
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intervista: Francesco Munzi
scheda film] (9 David di Donatello 2015, tra cui miglior film, regista e sceneggiatura), nasce da 100 giorni di convivenza del regista e della sua troupe con i giovani componenti di una comunità terapeutica alle porte di Roma e le loro famiglie.
Kripton potrebbe essere il complemento ideale all’indagine svolta dallo stesso Munzi con Alice Rohrwacher e Pietro Marcello in Futura [+leggi anche:
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scheda film], il doc del 2021 che indagava aspirazioni e prospettive dei giovani di oggi. Sempre di giovani qui si parla, ma di giovani un po’ diversi: ragazzi e ragazze tra i 20 e i 30 anni con disturbi mentali di varia natura, i cui pensieri a volte vanno “troppo veloci”, rendendoli vittime di improvvisi “terremoti” interiori. Munzi ha trascorso più di tre mesi a stretto contatto con questi giovani pazienti psichiatrici volontariamente ricoverati, e ha scelto di raccontare sei storie. O meglio, sono loro che hanno scelto lui, poiché – come specifica il regista – “sono diventati protagonisti coloro che più si sono avvicinati e si sono aperti con noi: il film nasce con loro”.
E così, tre ragazzi e tre ragazze con problemi mentali di varia natura, mai clinicamente specificati (non è quello l’interesse del film), condividono davanti alla telecamera il loro mondo interiore, spesso in presenza di medici, parenti ed esperti. C’è chi sostiene di provenire da un’altra galassia, chi soffre di gravi disturbi alimentari, chi trova nell’oscurità un rifugio e chi è convinto che “più stai da solo, meno hai bisogno degli altri”. Tra tormento e apatia, dai discorsi di questi pazienti emergono paure e quesiti esistenziali condivisibili da tutti, oltre che un’ipersensibilità verso le contraddizioni della vita che in alcuni momenti ti fa interrogare se i “matti” siano effettivamente loro o tu, piuttosto, che fai finta di non vedere certe cose. La telecamera di Munzi si fissa sui loro volti, restituisce a questi ragazzi la possibilità di raccontarsi e di esprimere la loro individualità; mettendosi in ascolto, normalizza queste forme di sofferenza, rendendole meno temibili e mostruose. Lo fa con pudore, creando empatia, non giudicando.
I momenti difficili non mancano: le crisi improvvise, le difficoltà di padri, madri, fratelli e sorelle a tener testa ai continui alti e bassi che la malattia mentale comporta; sembra che le cose rimangano sempre uguali, invece pian piano evolvono. E il doc di Munzi ci ricorda proprio questo, che questi pazienti speciali vanno aiutati attraverso percorsi individuali e con umana comprensione. Nel 2022, si stima che circa 800mila persone in Italia siano state in cura presso i servizi di salute mentale pubblici. Eppure – e ripeterlo fa sempre un po’ più male – i servizi di salute mentale sono tra i più colpiti dai tagli alla sanità pubblica.
Kripton è stato prodotto da Cinemaundici con Rai Cinema.
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