Recensione: Portrait of a Certain Orient
- Marcelo Gomes racconta la storia di una fuga dal Libano al Brasile con un dramma in bianco e nero che intreccia passione, memoria e desiderio

S’intitola Portrait of a Certain Orient [+leggi anche:
intervista: Marcelo Gomes
scheda film] il nuovo film di Marcelo Gomes presentato nel concorso Big Screen dell’IFFR. Gomes adatta il romanzo omonimo di Milton Hatoum che racconta di due libanesi (Emir e Emily, fratello e sorella) in fuga dalla guerra per raggiungere il Brasile. Durante il lungo viaggio in un bastimento Emily (Wafa'a Celine Halawi), che viene dalla parte cristiana del Libano, si innamora di Omar (Charbel Kamel), un commerciante musulmano suscitando l’ira del fratello Emir (Zakaria Al Kaakour). A partire dal titolo, il film dialoga con l’idea appunto di un certo oriente, un’idea di luogo, stereotipata, che si radica nella mente ed è difficile da abbandonare. Come il perenne conflitto fra le diverse religioni che sembra rendere impossibile la convivenza pacifica tra cristiani e musulmani. In questo caso è centrale il personaggio di Emir, che non riesce ad elaborare il trauma della morte dei genitori per mano di milizie musulmane nella guerra civile libanese del 1949, portando con sé il passato in Brasile.
L’oriente diventa quindi indefinito, un paese ormai lontano, da lasciarsi alle spalle per inventare una nuova vita all’estero. E se Emily, che all’inizio non vuole abbandonare il Libano, rappresenta in qualche modo la speranza e una storia a lieto fine, Emir è là a ricordare agli spettatori che molto spesso la vita di chi lascia il proprio paese in seguito a traumi collettivi come guerra o carestia rimarrà comunque segnato nonostante l’accoglienza del paese ospite. Tra gli aspetti interessanti del film di Gomes, girato in un bianco e nero classico, c’è appunto la nascita della passione fra Emily e Omar, lo svilupparsi di un nuovo legame che dà vita a qualcosa di diverso, elevando il Brasile a luogo utopico, una terra promessa in cui si è liberi di amare chi si vuole. La sequenza centrale del film che si svolge in piena Amazzonia contiene però un'indicazione che mette in guardia contro qualsiasi idealizzazione del paese accogliente, dove gli indigeni devono combattere contro le speculazioni di chi vuole usurpare le loro terre.
Portrait of a Certain Orient è un melodramma classico in cui il linguaggio cinematografico non interviene eccessivamente a pervertire la narrazione, a parte alcuni inserti dal sapore fortemente simbolico in cui Gomes mostra degli insetti che si dimenano nella natura selvaggia in un moto frenetico e senza senso. Quasi una visione dall’alto dei continui spostamenti degli umani in lotta per la sopravvivenza, in fuga da una morte (la propria o quella dei cari) che minaccia il presente in maniera costante. Il “certo” oriente diventa una “certa” idea di storia di vita, costruita attraverso le immagini di un fotografo italiano anche lui in viaggio per Manaus, che riesce a immortalare i momenti più felici della vita di Emir e Emily, riproposti a mo’ di flashback nella sequenza finale. Le immagini come modo di ricostruire una memoria dignitosa, che riesca a raccontare un immaginario legittimo nel quale lasciare il proprio paese per qualcosa di nuovo e migliore sia sinonimo di apertura e coraggio.
Marcelo Gomes, già come fece nel 2017 con Joaquim [+leggi anche:
recensione
trailer
scheda film], sembra più interessato a come i personaggi reagiscono di fronte alla storia, più che alla storia in sé. Vedendo Portrait of a Certain Orient sappiamo poco della guerra civile in Libano o delle condizioni socio-economiche del Brasile degli anni 40, ma riconosciamo quali effetti questi avvenimenti hanno sulla vita di personaggi e grazie all’intuizione riusciamo a comprenderli. Potere del cinema.
Portrait of a Certain Orient è prodotto dalle brasiliane Matizar Filmes, Gullane Filmes, Misti Filmes, Bubbles Project, Muiraquitã Filmes e Kavac Film. La brasiliana O2 Play si occuperà delle vendite.
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