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IFFR 2024 Concorso Tiger

Recensione: La Parra

di 

- Stranezza e umorismo nero molto intelligente caratterizzano il terzo lungometraggio di Alberto Gracia, che trasforma la sua città natale in un luogo spettrale popolato da creature grottesche

Recensione: La Parra

Alberto Gracia torna all'IFFR con il suo terzo film, intitolato La Parra, dopo aver presentato in questo stesso festival, nella sezione Bright Future, i suoi precedenti O quinto evanxeo de Gaspar Hauser [+leggi anche:
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(vincitore del premio FIPRESCI) e La estrella errante [+leggi anche:
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. Ancora una volta, il regista offre al pubblico del festival, questa volta nel concorso Tiger, un film difficile da classificare e non convenzionale, lontano da qualsiasi corrente, moda o tendenza del cinema contemporaneo.

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Così come un altro galiziano, Lois Patiño, invitava lo spettatore a chiudere gli occhi nel suo ultimo lavoro, Samsara [+leggi anche:
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, per viaggiare nel tempo e nello spazio (fisico e spirituale), qui Gracia inizia con lo schermo nero, ma non perché abbiamo abbassato le palpebre, bensì perché la macchina da presa assume il ruolo delle retine di un gruppo di ciechi, che fanno un'escursione in montagna guidati da un certo Cosme (interpretato dallo stesso Gracia). Nel prologo si ha una chiara percezione di ciò che seguirà: un viaggio dall'oscurità allo smarrimento, al nebuloso e a qualcosa di simile all'inferno in terra, ma con un senso dell'umorismo che è allo stesso tempo strano, intelligente, assurdo e oscuro.

Interpretato da Alfonso Míguez, una sorta di versione spagnola e ancora più allucinata di Harry Dean Stanton o Griffin Dunne trentenne, La Parra allude alla pensione in cui questo giovane uomo soggiorna dopo aver ricevuto la notizia della morte del padre, con cui non aveva un buon rapporto e del cui ricordo non riesce a liberarsi (fisicamente e metaforicamente, come si vedrà). Ma non si tratta di un thriller o di un horror, né di una commedia, bensì di un film di Alberto Gracia, cioè di un film difficile da catalogare, come lo è la sua atmosfera, dato che si svolge in un Ferrol ancorato al passato, isolato, oscuro, ostile e da incubo.

Le musiche ricordano i cult movie di John Carpenter (per gentile concessione di Jonay Armas), il montaggio è dello stesso regista insieme a Velasco Broca (un altro outsider del cinema spagnolo, sempre in viaggio fuori dai sentieri battuti, si pensi al suo Alegrías riojanas) e la fotografia è di Ion de Sosa (il cui mediometraggio Mamántula è stato presentato al recente Festival di San Sebastian e ci lascia ancora perplessi). Con questa squadra di complici non è paradossale che questa tragicommedia degli specchi – come la chiama il suo creatore – non nasconda le sue influenze da David Lynch e dal cinema paranoico degli anni Settanta. Richiama, infine, anche il sorprendente film di Martin Scorsese degli anni Ottanta After Hours, e gli universi pieni di esseri grotteschi, alla deriva dalla vita, resi popolari dallo scrittore (anch'egli galiziano) Ramón María del Valle Inclán all'inizio del secolo scorso.

La Parra è una produzione di Filmika Galaika e Tasio; della distribuzione e delle vendite internazionali si occupa Begin Again Films.

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(Tradotto dallo spagnolo)

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